Discriminate le hostess in maternità: il giudice condanna l’Inps a risarcirle

Busto, prime cinque sentenze per i soldi non riconosciuti. Ingiusto tagliare gli assegni, da versare 85mila euro

Hostess

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Busto Arsizio (Varese), 16 luglio 2020 - Una maternità con un riconoscimento economico più leggero del dovuto da parte di Inps. E diventare madre mantenendo un lavoro diventa ancora più difficile. È quanto accaduto a circa 100 hostess di varie compagnie aeree in servizio su tutto il territorio nazionale, che attraverso il sindacato Anpav hanno fatto causa all’Inps denunciando un "atteggiamento discriminatorio". Lo ha reso noto il segretario nazionale dell’Associazione nazionale professionale assistenti di volo, Carlo Amati, il quale ha spiegato come delle circa cento vertenze "quindici sono state già vinte, di cui cinque nel solo Tribunale di Busto Arsizio, sei a Civitavecchia, e il resto nei Tribunali di Verona, Como, Ferrara e Bologna", grazie all’appoggio dello Studio Legale Martucci & Associati. Inps, in base alle sentenze già emesse, dovrà versare circa 85mila euro.

Le hostess, che indossano la divisa orgogliose di accompagnare i passeggeri da una parte all’altra del globo in volo, o di seguirli nelle fasi di imbarco negli aeroporti di tutta Italia, destreggiandosi tra casa e lavoro come molte donne fanno, secondo quanto reso noto dal sindacato, "nei periodi di astensione dal lavoro" per maternità, si sarebbero viste riconoscere "importi significativamente più bassi del dovuto", il che evidenzierebbe "la discriminatoria mancata corresponsione dell’indennità di maternità in un importo inferiore a quello stabilito per legge". I Tribunali che hanno dato loro ragione, hanno sposato le accuse e condannato "l’Inps al pagamento dell’importo richiesto". Secondo Amati e Anpav gli esiti processuali ottenuti a Civitavecchia (ritenuta sede per competenza territoriale per le hostess Alitalia) e Busto Arsizio, dove "si sono espressi giudici diversi, conferendo alla vertenza basi sempre più solide", hanno "un valore senza precedenti, perché riguardano la sede giudiziaria sulla quale insiste la quasi totalità delle cause".

L’errore di calcolo, precisa sempre Anpav "nasce dalla considerazione parziale dell’ultimo stipendio percepito per determinare l’importo da erogare per Il periodo di astensione dal lavoro previsto dalla legge", ovvero fino a 16 mesi data la "mansione a rischio". L’ impostazione del ricorso ha consentito alle associate Anpav che hanno per prime rivendicato i loro diritti economici "di estendere la legittima richiesta ad un periodo pregresso di 10 anni", il che ha messo in moto crescenti adesioni alla causa. "Le mamme-hostess", conclude il sindacato, "possono adesso finalmente contare su un orientamento giuridico che tende a superare le inspiegabili penalizzazioni economiche subite fin qui".