
L'ad rossonero Giorgio Furlani annuncia novità, ma la delusione dei tifosi per la gestione Cardinale persiste.
Nessun “mea culpa“. Nessuna spiegazione. Nel sermoncino prepartita l’ad rossonero Giorgio Furlani si è preoccupato soprattutto di far sapere “urbi et orbi“ che questa sarà la settimana degli annunci. E che sul mercato non ci sarà necessità di fare rinunce. Bontà sua, anche se dopo una stagione fallimentare ci si aspettava qualche riflessione in più nel giorno dei bilanci. Vero, i conti societari magari sorrideranno ma l’umore della piazza è nerissimo. A far rumore non solo la feroce contestazione di una tifoseria delusa e tradita, ma anche la perenne assenza di Gerry Cardinale. Il quale non ha ancora capito cosa significhi essere milanisti. Non basta ritrovarsi in Piazza Duomo a festeggiare il diciannovesimo scudetto (non si era ufficialmente insediato) per dimostrare il senso di appartenenza che in realtà non c’è mai stato da parte sua. Qui parliamo di un club glorioso che porta sulla manica della maglia il numero 7 (quello della Coppe dei Campioni vinte), che è spinto dalla passione di centinaia di milioni di tifosi in tutto il mondo i quali vorrebbero spiegare ad un fondo di investimento che gestisce 10 miliardi di dollari cosa significhi essere rossonero. Non dettagli. Cardinale non ha compreso che una società come il Milan per essere produttiva non può prescindere dai risultati sportivi. Quindi, o RedBird investe in tutti i settori e lo rilancia per davvero, oppure tutto si sgretolerà rapidamente con la velocità con cui sabato sera si è svuotato San Siro.
Perché i tifosi del Milan, a cominciare da quelli che spendono fior di quattrini e che percorrono migliaia di chilometri in Italia e in Europa, non sono turisti o clienti occasionali da accogliere nel nuovo stadio (quando arriverà). Per loro quella maglia non è solo un simbolo (oggetto spesso di marketing “creativi“) ma ha un valore. E quei supporter sono tutti fedelissimi alla storia, nella buona e nella cattiva sorte. Però c’è un limite a tutto, perché essere prigionieri di proprietà che hanno in mente strategie inaccettabili e dirigenti confusi e inadeguati non può passare inosservato. Non lo accettò in momenti migliori Paolo Maldini da dirigente (e infatti fu licenziato dopo una semifinale di Champions League). Figurarsi ora.
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