Matteo Pessina "La favola Monza è come la Nazionale agli Europei"

Il capitano dei brianzoli ospite in redazione: "Vialli era il nostro Galliani. A Mancini ho parlato della mia squadra che vince con tanti italiani...".

Matteo Pessina

Matteo Pessina

Polo bianca, cappellino azzurro come il cuore che batteva a Wembley in quelle notti magiche, un borsello nel quale custodire i segreti di un Monza che sogna in grande e che non si pone limiti.

"Sa qual è il nostro segreto? - dice con il sorriso del bravo ragazzo - Non aver mai pensato in grande, e aver vissuto il bene e il male senza esaltarci". Monzese di nascita, fascia al braccio e la responsabilità di prendere per mano i sogni della sua città. "Il mio è vincere un Mondiale", "Di Europa, invece, parliamo tutti i giorni. Delle finali di Champions, Europa League e Conference", dice sorridendo.

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Il “figlio di Monza“ è più calciatore o un ragazzo come gli altri?

"È Matteo: nato, cresciuto e che ha studiato a Monza, che ha tanti amici. Non ho mai volato alto, non mi sono mai montato la testa e sentito al di sopra di qualcuno: vado spesso a cena con la mia famiglia, perché se sono così è grazie alla loro educazione".

Sassuolo-Monza: 95 minuti di gioco, 100 metri di corsa…

"E zero fatica. Questa Serie A è dei tifosi del Monza che ci sono sempre stati, ci pagavamo le fasciature da mettere alle caviglie per giocare mentre i presidenti di allora scappavano...".

Oggi c’è Silvio Berlusconi.

"Ha vinto tutto con il Milan, ma anche in ospedale guardava il Monza. Ci sta dietro, vive di calcio e vuole avere tutto sotto controllo".

Lei dov’era un anno fa la sera del 29 maggio (Pisa-Monza, ndr)?

"In camera a Coverciano con Locatelli: ho visto la partita, ero troppo felice da tifoso della squadra della mia città, poi..."

Poi?

"Mi chiama Galliani, ma qualche giorno dopo. Mattina, siamo a Wembley con la nazionale, squilla il telefono: “Ciao Matteo, il Monza è andato in Serie A“, e ha messo giù. Un mese dopo la trattativa che mi ha riportato a casa".

L’aveva già comprato al Milan negli anni bui.

"Sì, per pagare i dipendenti della società che era fallita. Grazie a mio padre, che era stato già curatore fallimentare anni prima. Eravamo in ufficio da da Galliani che disse: “Voglio aiutare chi lavora“. Tre anni dopo ne è diventato amministratore delegato e oggi mi ripete sempre che una società, il Monza, con ad e capitano di Monza, non può andare male".

Un progetto utile anche alla nazionale.

"Ho parlato a Mancini della nostra squadra, con il 73% di italiani, ed era molto contento. La lungimiranza di Berlusconi e Galliani aveva anche il fine di aiutare le nostre selezioni, già partendo dal settore giovanile".

Eppure cresce la presenza degli oriundi.

"Lo fanno le altre nazionali, non vedo perché non possa farlo anche l’Italia. Io giocavo a Bergamo con Rafael Toloi, era molto orgoglioso di vestire la maglia azzurra. Le scelte del ct sono sempre per il bene della squadra".

La favola Monza è come l’Italia all’Europeo.

"Assolutamente sì, perché l’Europeo lo abbiamo vinto per un gruppo e un ambiente bellissimo. Se ci ripenso, vedo la stessa magia nel nostro spogliatoio a Monzello. E quando questa magia ti porta a essere fratelli, anche una sconfitta viene gestita bene. Ho vissuto partite perse in altri spogliatoi e non le dico cosa succedeva...".

La dolorosa vicenda Pablo Marì è stata un passaggio chiave.

"Non ci conoscevamo neanche così bene, ma con quella notizia siamo tutti crollati. Il fatto che sia rientrato in un mese dimostra quanto tenesse alla maglia e a lottare per noi suoi compagni. Ne siamo usciti ancora più uniti".

Grazie anche a Palladino.

"Raffaele mi racconta che segnava su un taccuino gli allenamenti di Gasperini e Juric. Lui è stato la nostra fortuna, per come ha allenato e gestito il gruppo: è giovane e ha fame, ce ne sono pochi come lui".

Cosa è cambiato rispetto a quando eravate compagni di stanza a La Spezia?

"Niente. Abbiamo un rapporto ancora di amicizia, che abbiamo coltivato anche dopo aver giocato insieme: ci trovavamo spesso, sono andato da lui a Napoli. Ancora oggi parliamo di tutto da amici, e così non ha problemi a dirmi qualcosa che poi devo io trasmettere al gruppo".

Lo vorrebbe la Juventus...

"Quando uno fa bene è normale che venga accostato ai grandi club. È un predestinato. Ma Galliani è stato chiaro e sapendo come ragiona Palladino le idee chiare le ho sempre avute anche io".

A Coverciano c’era Vialli...

"E per me è difficile parlarne. Era come Galliani per noi adesso al Monza: tutte le cose più belle ruotavano attorno a lui, quando bisognava motivare e tirarci su c’era la sua parola, portava gioia anche quando gioia non doveva esserci. Un onore per me essere stato suo amico, mai trovato nel calcio uno umile come lui".

Diceva di Galliani...

"Dopo la partita di Lecce, 1-1, primo punto dopo 6 partite, eravamo ultimi in classifica e distrutti nello spogliatoio. In aereo parlava solo la hostess per le solite indicazioni. A un certo punto si alza Galliani: “Ragazzi, dobbiamo essere contenti: questo è il primo punto del Monza in Serie A, lavoriamo che il nostro momento arriverà“. Poi ci offre un enorme pasticciotto leccese che gli era stato dato...

Qualcuno ha avuto voglia di mangiarlo?

"Alla fine quando parla lui ti senti al sicuro. Mi bacchettava in estate, voleva il decimo posto. Io rispondevo “ok, però prima pensiamo a salvarci“. Come sempre aveva ragione lui".

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