
Reduce da una batosta in nazionale e dopo un periodo complicato nel club il regista si è ripreso le chiavi della squadra con due perle allo Stadium. Per Chivu è uno dei cardini da cui ripartire per cominciare la scalata in classifica.
Se è vero che la squadra degli “ingiocabili“ sembra essersi spenta dopo il blackout di due ore nella notte del 31 maggio a Monaco di Baviera, è anche vero che proprio nel folle pomeriggio di Torino uno dei pochi ad avere coraggio, idee e buona mira è stato Hakan Calhanoglu. Si, proprio lui, il protagonista del tormentone estivo, il “figliol prodigo“ recuperato dopo le accuse dello spogliatoio, il “senatore“ che si è ripreso il posto su cui aleggiava l’ombra del ruspante Sucic. L’unico centrocampista che quando tira riesce ad inquadrare la porta. Nel luna park dello Stadium è stato l’uomo dei gol pesanti a guidare per due volte l’Inter sulle montagne russe anche se, alla fine, le prodezze del turco sono state vanificate dagli errori di Sommer e dalla prodezza di Adzic. Vero, davanti alla difesa qualche pasticcio l’ha fatto pure Calha (il pallone perso su Yildiz che porta al corner del primo vantaggio bianconero), eppure se c’è qualcuno da cui ripartire per provare la scalata verso le zone nobili della classifica è proprio il 31enne nazionale turco (99 presenze, 21 gol). Due mesi e mezzo fa la sua lunga parentesi milanese (da Leverkusen si trasferì nel capoluogo lombardo nell’estate del 2017 per indossare la maglia rossonera prima del clamoroso passaggio all’Inter nel 2021 e mai perdonatogli dai tifosi del Diavolo) sembrava essere giunta al capolinea, con la prospettiva di un ricco fine-carriera in patria, col Galatasaray.
Era il primo luglio, quando, a “caldo“ dopo la dolorosa eliminazione dal Mondiale per club, capitan Lautaro sbottò in mondovisione: "Chi non vuole stare qui, se ne deve andare. Ho visto cose che non mi sono piaciute". Ogni riferimento al turco non era puramente casuale. Marotta poi rincarò la dose: "Si tratta di Calhanoglu, ma non serve buttare la croce addosso a lui. Per chi vuole andar via, le porte sono spalancate. Ne parleremo". Apriti cielo. Sentitosi tirato in ballo, il giocatore replicò a stretto giro sui “social“: "Il rispetto non può essere a senso unico. Un vero capitano non cerca colpevoli, ma sta con i compagni. Amo l’Inter. Il futuro? Vedremo. La storia ricorderà sempre chi è rimasto in piedi, non chi ha alzato di più la voce". Restava però nell’ambiente un’aria tossica, al punto che qualcuno disse: "Di uno così si può tranquillamente fare a meno...". Il Galatasaray, fino ad allora alla finestra, nei giorni successivi si fece ingolosire dalla situazione. Calhanoglu era un piatto da asporto solo da prelevare. Sembrava che l’operazione potesse andare a buon fine, ma l’accordo con l’Inter non venne trovato, perché tutto ha un prezzo. E la cifra che i turchi avevano offerto all’Inter fu ritenuta offensiva.
Da allora Marotta in “primis“ ha cominciato con certosina pazienza a ricucire lo strappo, riprendendosi un giocatore che ha dimostrato anche sabato di poter essere decisivo (pochi giorni dopo il ko in nazionale e le nuove esternazioni “provocatorie“ della dirigenza del Galatasaray che continua a sostenere l’ipotesi di un trasferimento in Turchia di Hakan). Facendo ricredere gli scettici e chi, frettolosamente, lo aveva scaricato. Non è la prima volta che succede a Calha che però ha sempre avute le spalle larghe: a 21 anni, quand’era a Leverkusen, i tifosi dello Schalke lo provocarono, tirando un panino con la carne di maiale proprio a lui, musulmano praticante. Nel caos Calhanoglu reagì baciando il pane. In un’altra occasione disse: "Mesi fa ho affermato di essere fra i primi cinque registi al mondo e nessuno mi ha creduto. Ma io credo in me stesso, conosco le mie qualità e non ho paura di nessuno. La classifica? Quinto Enzo Fernandez, quarto Kimmich, terzo Kroos, secondo Rodri, primo io. Perché sono il migliore? Perché i gol e quello che faccio io, gli altri non lo fanno. Se date un’occhiata alle statistiche, io non segno mai da vicino, ma dai 25-30 metri o su punizione. Sono cose difficili". Esattamente come è accaduto contro la Juventus: prima di sinistro, poi col destro. Non a caso è lo specialista nel tiro da fuori e rigorista quasi impeccabile (in carriera ha fallito solo 5 rigori su 47 calciati). Chivu può contare su di lui.
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