GIULIO MOLA
Sport

Evaristo Beccalossi: dal coma al ritorno alla vita, festeggia il 69° compleanno

Dopo 47 giorni di coma, Evaristo Beccalossi celebra il suo 69° compleanno con familiari e medici che lo hanno salvato.

Dopo 47 giorni di coma, Evaristo Beccalossi celebra il suo 69° compleanno con familiari e medici che lo hanno salvato.

Dopo 47 giorni di coma, Evaristo Beccalossi celebra il suo 69° compleanno con familiari e medici che lo hanno salvato.

Ora che il peggio è passato, i 47 giorni di coma a causa di un’emorragia cerebrale sono un lontano ricordo e che finalmente si vede la luce in fondo al tunnel della paura, Evaristo Beccalossi può finalmente festeggiare. Il ritorno alla vita e pure il suo sessantanovesimo compleanno. Per l’ex talentuoso numero 10 dell’Inter “scudettata“ (stagione 1979-1980) guidata dal “sergente di ferro“ Eugenio Bersellini è un lunedi speciale. Perché si troverà accanto, quando dovrà spegnere le candeline, non solo gli affatti più cari come la moglie Danila e la figlia Nagaja, ma anche gli angeli custodi che da quel maledetto 9 gennaio gli sono stati accanto salvandogli la vita. Medici, infermieri e fisioterapisti. Un percorso lungo e ad ostacoli prima di tornare alla normalità, ma passo dopo passo il “Becca“ continua a fare progressi. E a regalare speranze e sorrisi ai suoi familiari. "Il babbo è ancora a Brescia ma fra un po’ cambieremo struttura - racconta la figlia Nagaja, che da alcuni anni lavora nell’ufficio comunicazione dell’Inter -. Non sappiamo quando riusciremo a portarlo a casa perché il periodo di rieducazione è ancora lungo, e lui ogni volta che deve andare in palestra brontola e sbuffa. Vorrebbe tornare a lavorare. Ma il suo desiderio è comunque di restare a Brescia, nella casa di famiglia". Oggi più che mai vale il ritornello che i tifosi dell’Inter intonavano quando luccicavano a tutti gli occhi ammirando il calciatore con i riccioli e quel pallone incollato ai piedi: ‘Sono Evaristo, scusate se insisto’. Si comprava il biglietto solo per vederlo giocare.

Ma gli ultimi quattro mesi sono stati terribili, carichi di angoscia, ansia e poi di speranze. Per settimane c’è stato massimo riserbo, come chiesto dalla famiglia, ma sin da metà gennaio la notizia circolava fra gli addetti ai lavori. Il malore in casa il 9 gennaio, il ricovero immediato in Fondazione Poliambulanza a Brescia, l’aggravamento delle condizioni in poche ore, il coma durato 47 giorni. E l’inizio di una durissima battaglia, su un doppio binario: quella per salvare la vita a Evaristo, ma anche quella per “proteggerlo“ dal mondo esterno visto che inizialmente i medici avevano dato alla famiglia pochissime speranze. Con il passare delle settimane quella piccola fiammella è diventata qualcosa di più luminoso.

E il 27 febbraio Evaristo si è risvegliato, al punto che anche gli amici più stretti hanno potuto fargli visita, a cominciare da Spillo Altobelli, storico compagno di squadra (prima nel Brescia e poi nell’Inter). I due formavano una coppia d’attacco formidabile. Il “Becca“ era la fantasia al potere, il classico 10 che accendeva gli entusiasmi di un ragazzino. "Quando l’ho saputo mi è crollato il mondo addosso - confessa Spillo - Ho tenuto segreta la malattia, ma quando mi guardava, poi capiva tutto". Da un ex compagno all’altro: "Il sogno dei bambini che giocano nei campetti è quello di diventare calciatori come il “Becca“ - racconta Aldo Serena, che in quell’Inter dove c’era l’amico Evaristo esordì giovanissmo il 19 novembre del 1978 - - numeri 10 che accendono la fantasia, che inventano giocate introvabili. Forza Evaristo, ti vogliamo bene". Tutti i compagni di quel gruppo storico nerazzurro, da Bordon a Canuti fino a Oriali, quotidianamente chiedono aggiornamenti sulla chat che dopo quarantasei anni li tiene uniti. Tutti sono legatissimi, tutti hanno tirato un sospiro di sollievo dopo le ultime notizie confortanti. L’uomo dai dribbling imprevedibili è riuscito a saltare l’ostacolo più difficile ed è pronto a riabbracciare la vita: "Il momento più delicato l’abbiamo superato, siamo ancora in una fase di esercizi con le logopediste - dice ancora la figlia Nagaja - ma lui guarda l’Inter e riesce a farsi capire e questo è già importante. Noi bresciani non molliamo mai...".

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