Malikian, il rocker del violino torna in Italia. Nel nuovo album la magia dell’infanzia

Al Vittoriale la performance, fra musica classica, sferzate rock e influenze mediorientali

Ara Malikian è un violinista spagnolo di origini libanesi e radici armene

Ara Malikian è un violinista spagnolo di origini libanesi e radici armene

Gardone Riviera (Brescia) - ​Suo padre Jarayear suonava il violino con la regina della canzone libanese Fairouz, ma sognava per il figlio una carriera da concertista e lui, Ara Malikian, quel desiderio l’ha esaudito. Anche se a modo suo. Con una vena istrionica e un’abilità nel reinterpretare Vivaldi o Tartini contaminandoli con influenze gypsi, klezmer, tango e flamenco che il pubblico di Gardone scoprirà domani sera all’Anfiteatro del Vittoriale. Come ricorda già dal titolo il suo primo album di inediti “The incredible story of violin”, pubblicato sei anni fa dopo una quarantina di incisioni sparse, la carriera di Malikian è stata tutta un’avventura. E a 53 anni il violinista nato a Beirut, ma trapiantato in Spagna da più di un ventennio, continua ad allargare quegli orizzonti che l’hanno portato a collaborare con compositori come Franco Donatoni, Malcolm Lipkin, Luciano Chailly, Alberto Iglesias e registi del calibro di Pedro Almodóvar, Pascal Gainge e Salvador García Ruiz. Se “Oro, incenso y mirra” e “Nana arrugada” sono i brani con cui Ara ha cercato di allentare la latitanza dalle scene imposta dalla pandemia, l’ultimo progetto strutturato della sua discografia rimane “Royal Garage”, doppio album del 2019 in cui collabora con Franco Battiato in una rielaborazione di ‘Voglio vederti danzare’, con Serj Tankian dei System of a Down in “The rough dog”, ma anche con Bunbury, Pablo Milanés ed Andrés Calamaro. «Quel titolo l’ho scelto ripensando ai tempo della guerra civile nel mio Paese, quando coi miei familiari eravamo costretti a nasconderci nei sotterranei dell’edificio in cui vivevamo nell’attesa che i bombardamenti cessassero" racconta. "Eravamo tutti molto impauriti e stressati, così un giorno, presi il violino e la tristezza d’improvviso scomparve, i vicini iniziarono a ballare, a cantare, perché pure in una situazione tanto drammatica la musica non aveva perso la sua attitudine a regalare felicità trasformando perfino un buio garage nel posto migliore al mondo".

Ma è appena uscito in digitale pure un nuovo lavoro, intitolato semplicemente “Ara”. "L’ho composto vedendo crescere mio figlio, quindi è il risultato del mio crescere al suo fianco, insomma un incontro col bambino che avrei voluto essere. Un disco pieno di dinosauri, di calamari robotici, di macchine del tempo, di pianoforti volanti; un omaggio alla magia di trovare ogni giorno un viaggio fantastico, ovunque essi porti". Quei tatuaggi che sul braccio destro sfumano il segno di solchi longitudinali sono opera di un amico di Barcellona, ma il nero sembra sangue raggrumato dai tagli di una lametta affilata come la sua vita. In “A life among strings”, il documentario realizzato dalla compagna Nata Moreno, Malikian riafferma l’importanza avuta dallo strumento nella sua esistenza. "Senza un violino, probabilmente, non sarei qui. Nel 1915 mio nonno Krikor si salvò dal genocidio armeno perché gliene misero uno fra le mani dicendogli ‘fai finta di essere un orchestrale e fuggi con noi’. E quando penso che al mondo ci sono 35 milioni di rifugiati, mi viene spontaneo augurare a ciascuno la fortuna di trovare il proprio violino". Insomma, sotto l’impeto dell’archetto vibrano corde di fibra sintetica che evocano Paganini e i Led Zeppelin, ma diventano di seta quando parlano il linguaggio del cuore.