"Qui le bambine si innamorano del calcio"

Le dritte di coach Francesca, allenatrice delle under 12 della Como Women e psicologa. Crescono le giocatrici, di numero e di livello

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di Simona Ballatore

"Le giovani calciatrici crescono di anno in anno. Di numero e di livello" dice soddisfatta Francesca Gargiulo, 33 anni, da quest’anno coach delle under 12 della Como Women. Il vivaio della serie A.

Quante bambine allena?

"Il primo giorno di ’open day’ sono arrivate in 34 e ad ogni allenamento si aggiunge ancora qualche bambina che vuole provare. Tanto che sono state create tre squadre, quella che è stata affidata a me, con 19 calciatrici delle annate 2010 e 2011, una con bambine del 2011 e 2012, più le “pulcine“ (le più piccole hanno otto anni), alle quali sto dando una mano".

Com’è stato il suo debutto comasco?

"Ho trovato un ambiente positivo, con professionisti che già da tempo lavorano nel mondo del calcio femminile. C’è una grande attenzione alla crescita delle calciatrici. Sono contenta di poter dare il mio contributo".

Nel boom di calciatrici incide il fatto di avere la prima squadra in Serie A?

"Certo attira tante ragazzine e bambine che vogliono giocare a calcio. Como Women sta investendo molto nelle professioniste, ma anche nelle giovanili. Il passaparola di chi già si allenava qui è stato fondamentale. È poi una fase particolare, di crescita continua di tutto il movimento. Sempre più bambine vogliono giocare a calcio".

Lei quando ha cominciato?

"A 10 anni. Più tardi rispetto a quanto succede oggi. Ero alle medie. Purtroppo mi sono rotta presto il crociato, ma non mi sono arresa e mi sono tolta le mie soddisfazioni: ho vestito la maglia della FiammaMonza alle superiori, ho partecipato alla competizione Uefa Women’s champions league, come parte dello staff di una squadra di serie A Svizzera".

Al ruolo di allenatrice unisce anche quello di insegnante e psicologa. Ci racconta il suo percorso?

"Subito dopo la laurea in Psicologia sociale del lavoro sono partita prima per l’Olanda, dove ho anche allenato, per conseguire un master in Scienze del Movimento Umano; poi in Sudafrica per un’esperienza di volontariato con una fondazione locale che usa il calcio come strumento di integrazione per bambini in situazioni di vulnerabilità. Per due stagioni ho allenato le bambine nell’Ac Milan e lavoro come psicologa dello sport per FocuSport di cui sono co-fondatrice e per la Figc, formando e supportando i tecnici e le società lombarde. Non riesco a scindere queste anime, quando vedo le bambine in difficoltà cerco di capire la situazione a 360 gradi per aiutarle, capire come si sentono e cosa non va, farle sentire libere di essere loro stesse".

Ci sono ancora stereotipi nel calcio femminile?

"Rispetto a quando ho cominciato il panorama è cambiato, non è più considerato uno sport ’da maschi’. Oltre ai numeri è anche la preparazione delle giocatrici a migliorare di anno in anno. Certo, c’è ancora tanto da fare: anche per questo ho scritto con Gaia Missaglia un libro, “Voglio fare la calciatrice“ (PiemmeBattello a vapore). Sarà presentato anche a Milano, al Museo Nazionale della Scienza Leonardo da Vinci il 19 novembre durante Bookcity in un incontro dal titolo “Il calcio femminile è una cosa seria”. Abbiamo voluto fare un regalo alle nostre bambine, raccontando le loro storie e le storie di chi ce l’ha fatta".

È un ambiente competitivo?

"Facciamo giocare tutte e il più possibile, perché devono divertirsi prima di tutto, sperimentare fino ad innamorarsi dello sport per poi arrivare, perché no, in serie A".

E in tribuna, come si comportano i genitori?

"In linea di massima è ancora una tifoseria molto positiva e non troppo accanita come si è visto purtroppo troppo spesso con i bambini. Credo che però molto dipenda dalla società e dalla sua capacità di coinvolgerli in un’alleanza educativa, di portarli dalla sua parte. Stiamo andando in quella direzione".

Primi risultati in campo?

"Ottimi. Il gruppo è affiatato e motivato. Ed è quello che conta di più".