Io, contessa Adelaide "La verità assoluta di una nobildonna ferita dalla solitudine"

L’attrice: "Forse andare avanti oggi significa ripristinare l’indietro tornare ai fondamenti del rispetto, della grazia e dell’eleganza"

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di Elvira Carella

"Se la dovessimo definire con un cartone animato, sarebbe un mix tra la strega di Biancaneve e Crudelia De Mon ne “La carica dei 101“. Ma anche la nota Miranda del film “Il diavolo veste Prada”". Così sostiene l’attrice Vanessa Gravina riguardo alla contessa Adelaide di Sant’Erasmo, di cui è interprete nella soap “Il Paradiso delle Signore“, in onda il pomeriggio su Rai 1.

Come è riuscita ad assumerne le vesti?

"Con un lavoro artigianale. Deriva da un tessuto storico, ma anche personale di elaborazione di un personaggio. Da bambina ho conosciuto nobildonne milanesi, che ho in qualche modo intrappolato nella memoria. Adelaide, figura fuori dal tempo, appare paradossalmente ed estremamente snob, distaccata da una parte, esilarante e divertente dall’altra. Ciò che è paradossale è inesorabilmente qualcosa di spiazzante".

Poi…

"La contessa è un’immagine a tinte forti: incenerisce o elargisce perle di saggezza. Racconta anche una condizione di solitudine, di ferita personale, per cui può commuovere e allo stesso tempo fare paura per il coraggio nel dire in faccia cose incredibili. Ciò che sorprende è il suo fondo di verità assoluta. Essendo stata privata di tanto, quello che le viene restituito dall’esistenza è una forma di eleganza, aplomb, un’ancora di vita".

Cioè?

"Per lei è una vera e propria ferita una tovaglietta coperta di briciole, per cui la sua diversità vissuta, non rappresentata, diventa esilarante. Vive anche la globalizzazione come una scelta continua, nonostante la sua estrema modernità. E quando abbraccia la ferita dell’altro, appare straordinaria, per il suo background di alta emarginazione".

La donna di ieri e di oggi.

"Nella soap da una parte c’è la donna che fatica per emanciparsi e poi la realtà di Adelaide, ingabbiata in un mondo retrò. Esso le impone circostanze, che condizionano spesso la mente ed il costume. Alla fine cambia la storia, ma non le persone. Un tempo non esisteva una finestra aperta sul mondo. Quindi, la lotta della donna, oggi, è ancora più cruenta per il confronto con altre realtà".

Le nobildonne milanesi?

"In passato esistevano mondi invalicabili, insondabili, trincerati in regole e tradizioni non deturpate così a fondo dal denaro. Oggi una grande contaminazione snatura il tutto e porta ad una condizione di benefit economico. Si va oltre l’etichetta, il garbo ed una cortina di protezione, di cui godevano quelle figure femminili".

E la Milano attuale?

"Sorta come città industriale, oggi si è avvicinata ad un concetto di grande bellezza: è una metropoli propulsiva, competitiva e di aperture".

Il ritorno alla moda di un tempo.

"È una cosa geniale, dopo un periodo di decadenza del costume. Forse andare avanti in questo momento significa ripristinare l’indietro, tornare ai fondamenti del rispetto, di grazia, eleganza…".

La sua Milano?

"Ricordo che a volte per la nebbia non riuscivo a vedere la serratura del portone. Mio padre, poi, partiva da una bolla di fumo a Milano Malpensa e giungeva, dall’altra parte dell’Oceano, tra le palme ed il mare caraibico".