Elio e lo “zio“ Enzo: artista universale Classico esempio di ingiustizia italiana

Il cantattore e lo show dedicato al maestro milanese: "Tutto esaurito, lo capiscono da Nord a Sud. Ma come tutti i personaggi simpatici è stato confinato in una dimensione riduttiva, troppo riduttiva"

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"Mio padre era in classe con Enzo Jannacci al Berchet e io sono cresciuto ascoltando le sue storie su questo compagno di scuola diventato celebre…" racconta Elio, addentrandosi tra i come e i perché di “Elio ci vuole orecchio” lo spettacolo sul “Buster Keaton di Lambrate” in scena al Lirico dal 28 marzo al 2 aprile per cinque repliche. Cento minuti di canzoni, pensieri, ricordi, note a margine, che mettono l’accento sul ruolo avuto da Jannacci nel cantare la Milano delle periferie "trasfigurandola in una sorta di teatro dell’assurdo realissimo e toccante, dove agiscono miriadi di personaggi picareschi e borderline, ai confini del surreale" come ricorda il programma di sala. "In casa avevamo i suoi dischi e così la voce mi è subito diventata familiare, come quella di uno zio" prosegue il cantattore, all’anagrafe Stefano Belisari. “Elio ci vuole orecchio” aveva trovato spazio nel cartellone del Lirico per un’unica rappresentazione nel 10° anniversario della scomparsa di Jannacci, il 29 marzo. Poi l’altissima richiesta ha moltiplicato gli spettacoli.

Elio, perché uno spettacolo su Jannacci?

"Perché mi piaceva molto l’idea, ma anche perché il suo mi sembra l’ennesimo caso di ingiustizia italiana; un grandissimo artista non considerato degno però di appartenere all’eletta schiera dei De André, dei Dalla o dei Gaber. Insomma, un personaggio simpatico che ha fatto cose belle. Troppo riduttivo. Questo spettacolo appartiene al novero dei miei tentativi matti di riportare l’attenzione su artisti che lo meritano".

Non è certo un caso isolato.

"Pure Totò entrò nel club dei grandissimi attori italiani solo da morto".

Ma perché, a suo avviso, “Quello che” non ha quell’aura d’ “intoccabile” che accompagna invece il ricordo dell’amico Giorgio Gaber?

"La colpa di Enzo Jannacci è stata forse quella di far ridere. Se strappi una risata non vieni preso per artista serio. Me ne resi conto al tempo de ‘La terra dei cachi’ sbirciando su YouTube i commenti scandalizzati per la presenza di un pezzo del genere a Sanremo. Oggi al Festival le cose vanno diversamente, ma quando ci andammo noi piovvero critiche".

Prima ha interpretato Gaber, portando in scena “Il grigio”, e ora Jannacci.

"Quella di interpretare ‘Il grigio’ è stata una richiesta insistita per anni sia da Giorgio che dalla Fondazione Gaber. Quindi, nonostante la grande soddisfazione che mi ha dato, una scelta fatta innanzitutto per assecondare un desiderio altrui. Da subito, però, ho chiesto al regista Giorgio Gallione di essere contraccambiato con uno spettacolo su Jannacci così sono felicissimo di essere uscito indenne da ‘Il Grigio’ e di fare bene ora questo ‘Elio ci vuole orecchio’".

Jannacci, come Gaber, è un’icona milanese.

"Milano è il teatro di tutte le avventure raccontate da Jannacci in canzoni dove però, come accade nei grandi classici, luogo e tempo finiscono col perdere valore. Soprattutto nelle prime canzoni l’ambientazione è metropolitana, ma fa da sfondo a storie in cui chiunque può riconoscersi, come dimostra il fatto che lo spettacolo va bene al Nord come al Centro-Sud nonostante alcune parti siano cantate in milanese".

Gli ultimi anni di Jannacci sono stati accompagnati da un’amarezza di fondo dovuta alla poca attenzione riservata ai suoi nuovi lavori.

"Una volta consolidati nella percezione collettiva, non è facile per gli artisti ricevere il giusto interesse su quello che hanno da offrire di nuovo. Ecco perché nello spettacolo proviamo a coprire l’intero cammino di Jannacci, con la scoperta che i pezzi più intensi sono, forse, quelli scritti nell’ultima parte della carriera".

Capita...

"Per fare un caso personale, pure noi Elii siamo convinti che i nostri ultimi album meritassero maggior attenzione di quanta ne abbiano incontrata. E io non ci sono rimasto male più di tanto solo perché ero preparato all’eventualità".

Dovendo comporre un’ideale trilogia milanese, dopo Gaber e Jannacci chi metterebbe?

"Con Gallione ci abbiamo anche pensato concludendo che per un’ideale ‘trilogia meneghina’ l’approdo naturale sarebbe Dario Fo. Ma non so se io sono il più indicato per portarlo in scena. O, piuttosto, non sarebbe meglio concepire uno spettacolo in cui trovare spazio a tutti e tre. Comunque non ho fretta, perché prima voglio fare bene questo spettacolo su Jannacci; mi hanno detto, infatti, che, con la richiesta che abbiamo, potremmo andare avanti altri due anni".

Oltre al teatro, cosa c’è nel suo parcheggio dei sogni?

"Un film adatto a me e alle mie caratteristiche. Ma anche condurre il Festival di Sanremo diventando l’Amadeus della situazione. Come concorrente, infatti, sono sazio (anzi, forse con gli Elii siamo andati anche oltre), come presentatore, invece, mi piacerebbe molto. So già, però, che è un sogno destinato a rimanere tale perché non me lo affideranno mai".

Mai dire mai.

"Sono molto fatalista e quindi so che le cose accadono se debbono accadere".

A proposito di cinema, quale sarebbe un regista vicino alle sue corde d’interprete?

"A me piace molto Matteo Garrone… ma non so se piaccio io a lui".

Andrea Spinelli