Banino, 5 ettari di pura poesia in 30mila bottiglie

Antonio Panigada, terza generazione di vigneron e i suoi amati campi senza diserbo né concimazioni

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Solo i complottisti, portati a vedere il marcio ovunque, potrebbero pensare che una piccola azienda vitivinicola riesca a fare breccia nelle più importanti guide enologiche d’Italia per chissà quali oscuri motivi. Da ridere. Se non fosse che produrre del buon vino è una cosa maledettamente seria. E Antonio Panigada lo sa bene, tenace e visionario come tutti coloro che non hanno vergogna di dichiararsi "contadini" perché vivere attaccati alla terra aiuta a sbarazzarsi dei miti effimeri, convinzione che a ben guardare, questo 56enne abituato a veleggiare tra la passione e il culto per il bello, aveva cominciato a maturare frequentando la grande città, Milano, avendo poi il coraggio di chiudere nel cassetto la promettente laurea in Economia e Commercio e di fare quello che già da giovane gli era parso come "il lavoro più bello del mondo". Da crederci, vedendolo all’opera nei 5 ettari di vigna inerbita che possiede a San Colombano al Lambro, enclave meneghina e collinare nella pancia piatta del Lodigiano, dove questo "viticoltore indipendente" produce, raccoglie e vinifica le uve, poi le imbottiglia nella cantina e le vende, come in altri tempi avevano fatto nonno Antonio e papà Stefano. Bella storia, ingentilita dall’omaggio che questo vigneron con la fissa della biodiversità ha voluto dare agli abitanti del luogo, i "banini". Neanche a farlo apposta, è il marchio "Banino" ad accompagnare i suoi vini. Ed è proprio quello che in questi anni ha entusiasmato Marco Gatti su “Il Golosario 2022“ e spinto "I vini di Veronelli" a dare ampio spazio all’azienda di via Vittoria 13, unica tra quelle di San Colombano ad essere citata dall’autorevole Bibbia dell’enologia italica. Illuminante.

E quando vai a cercare la ragione di tanta stima, ti rendi conto che a pesare nel giudizio c’è il rigore con cui Antonio gestisce la vigna e la cantina: nessun diserbo, niente concimazioni, chiarificazione dei rossi e microfiltrazioni. Il mood è chiaro: la natura faccia il suo corso. Come è distintiva la scritta sulle etichette che presentano il suo vino: "Integralmente prodotto e imbottigliato all’origine". Non poco. E lo sanno i tanti estimatori che acquistano le sue bottiglie (30mila all’anno) presentandosi in cantina, ordinandole a distanza, affidandosi al canale on line Tannico. E scegliendo tra il bianco "Banino Collina del Milanese", base Sauvignon, Chardonnay e Riesling, il rosso frizzante a rifermentazione naturale e quello fermo, giovane e di pronta beva, anch’esso prodotto con Barbera, Croatina e uva rara. Certo, c’è una gerarchia in tutto. E qui, pochi dubbi: facile elogiare il rosso Riserva Vigna La Merla che è il vino di punta della casa, senza dimenticare l’Aureum Malvasia di Candia Aromatica, passito pigiato in torchio e fermentato per 2 anni. Portato ad esprimere pensieri in libertà, Panigada si diletta a rivelare le sue passioni enogastronomiche. Ha devozione assoluta per i vini della Borgogna e gli uvaggi Chardonnay e Pinot Nero. E a tavola è esigente: nulla di meglio di un buon Banino Riserva abbinato allo stracotto. Un vero edonista. Paolo Galliani