
Anna Netrebko, celebre soprano, torna alla Scala per interpretare Leonora in 'La forza del destino', dedicata a Renata Tebaldi.
Milano - "Mi chiedono quali affinità io abbia con la protagonista dell’opera. Onestamente, credo nessuna", ha detto Anna Netrebko alla presentazione della Prima, col piglio di un Rhett Butler nel finale di Via col vento. E no, Leonora non le somiglia, mica solo perché quell’"essere braccata dalla paura, dal senso di colpa, dalla disperazione non è qualcosa che posso capire come donna del ventunesimo secolo". Difficile figurarsi qualcuno più lontano dall’immagine della vittima (del destino cinico e baro, del suo tempo, delle scelte stupide dei maschi, dell’autoflagellazione) di Netrebko, la regina della lirica. Unica diva, nel suo settore, come se ne vedevano nel Ventesimo secolo, ma col palcoscenico parallelo di Instagram che, tra selfie e outfit eccentrici, scatti mangerecci e balli in disco la trascina giù dall’Olimpo della propria bravura trasformandola, quand’è off duty, in una di noi.
Protagonista di sette Prime in tredici anni, cioè più di una volta su due: era Donna Anna nel Don Giovanni di Mozart nel 2011, Giovanna d’Arco nel 2015 dell’Expo, Maddalena nell’Andrea Chénier del 2017 in coppia con l’allora marito, il tenore azero Yusif Eyvazov, poi Tosca nel 2019, Lady Macbeth nel ’21 e infine la doppietta, ancora verdiana, con Elisabetta nel Don Carlo l’anno scorso e Leonora stasera ne La forza del destino. La forza di Anna, casomai, ché nel frattempo alla Scala son passati sovrintendenti (nel 2011 c’era Stéphane Lissner, poi c’è stato Alexander Pereira, poi Dominique Meyer, in procinto di cedere il testimone a Fortunato Ortombina), direttori musicali (ha attraversato indenne il passaggio Barenboim-Chailly), per non dire dei registi: perfino Davide Livermore, dopo aver diretto quattro Prime di fila (2018-21) incluso uno show senza pubblico nel 2020 della pandemia, ha ceduto il passo. Non lei.
L’incidente politico della primavera 2022 – il famoso forfait dopo l’interruzione, da parte del Piermarini, del rapporto non certo con Netrebko ma col direttore d’orchestra Valery Gergiev, il suo mentore, che la scoprì quando, studentessa, faceva le pulizie al mitico Mariinskij, all’epoca Kirov, pur di stare in teatro, che l’ha portata a debuttare alla Scala nel 1998, ma che incidentalmente è pure nell’entourage stretto di Putin che aveva appena invaso l’Ucraina – durò lo spazio d’un paio di mesi, prima di vederla tornare in trionfo, più amata e osannata che pria. E del resto la soprano russa naturalizzata austriaca, padrona del proprio destino che vive tra Vienna e New York, che ha cresciuto da sola il figlio avuto dal basso-baritono uruguayano Erwin Schrott, affetto da una forma di autismo, e quest’anno è tornata a Milano senza "Yusi", dal quale si è appena separata dopo dieci anni insieme e rimanendo amici, è osannata alla semi-unanimità nei teatri di tutto il mondo – ma più alla Scala e pure su in Loggione, tra le vestali dell’ortodossia verdiana.
Soprattutto per la sua voce incredibile, oltre che per il rigore che, davanti a una Leonora così eremita e lontana, le ha fatto dire "certo che posso farla. Mi sono attaccata alla partitura, a quello che è scritto e che dice il maestro, per trovare le ragioni per cui quest’opera è importante. Ho ascoltato grandi soprano, quest’opera ha avuto sempre grandi interpreti", e cita Renata Tebaldi, che fu Leonora alla Scala nel ’55 e alla quale questa inaugurazione è dedicata nel ventennale della morte.
"E alla fine di tutto questo c’è la Vergine degli angeli (il finale del secondo atto, ndr), non un passo in facile in sé, e poi dopo due ore a correre, cantare, soffrire, urlare... - ha sottolineato –. In quel momento penso sia molto importante dimenticarsi di sé. Trasformarsi in qualcosa d’altro, più in alto, e interpretare a un livello diverso, non sulla terra. Auguratemi buona fortuna". Che la Forza sia con lei.