
Immagini di scena dello spettacolo Liberi di sognare dei Legnanesi
Tutti dentro! Riapre il cortile di Casa Colombo. E lì, si sa, c’è spazio per chiunque. Sotto le ringhiere col bucato steso. I tinelli che borbottano. Mentre la vita in dialetto intreccia le sue trame (e le sue risate). Inconfondibile il mondo de I Legnanesi. Che dal 30 dicembre al 19 febbraio arrivano a Milano con “Liberi di sognare”, nuova produzione in lunghissima tenitura al Teatro Repower di Assago. Testi di Mitia Del Brocco e del regista Antonio Provasio, anche sul palco nello storico ruolo della Teresa. Con lui Enrico Dalceri e la new entry Italo Giglioli. Per raccontare il tentativo di scalata sociale dei Colombo. Attraverso le doti seduttive della Mabilia.
Provasio, perché “Liberi di sognare”?
"Ne abbiamo bisogno dopo questi anni. Tornare a sognare, a far andare l’immaginazione. Anche perché è una delle poche cose che non ci hanno ancora tassato. E nel nostro caso parliamo del sogno della Mabilia: quello di accasarsi con due soldi. Ma nello spettacolo torna anche il nostro cortile tanto amato, che improvvisamente si riempie di partite di padel e monopattini".
Ancora una volta sul pezzo i Legnanesi.
"Sempre! E proprio come è successo a Totti, anche la Mabilia conosce il suo amore giocando a padel. Lui è il figlio del presidente della Juventus, tale Mapo Anelli... Un ragazzo che per farle la dichiarazione ufficiale invita tutti allo stadio per Juve – Inter. Ne succederanno di belle, visto che il Giovanni è interista sfegatato. Anche perché si può fingere di avere i soldi finché si
vuole, ma prima o poi ai Legnanesi esce sempre l’anima proletaria".
Felice di ritrovare il cortile?
"Moltissimo. Per alcuni anni abbiamo lavorato su altre situazioni. Ma anche a livello scenico quando si apre il sipario si sentono lo stupore e l’amore delle persone per quel posto così riconoscibile. È il luogo della Teresa e a me apre il cuore".
Come al solito con voi c’è una squadra di “boys“.
"Sì però quest’anno abbiamo cambiato gruppo, chiedendo una mano alla Scuola del Musical di Milano. Ragazzi preparati, educatissimi, che hanno un po’ musicalizzato la nostra classica rivista all’italiana".
Ma qual è il segreto per fare un mese e mezzo di repliche?
"Forse la semplicità, far divertire divertendosi. I nostri personaggi sono ormai delle vere maschere lombarde, gli spettatori li vedono come parenti. E poi c’è l’impegno ad accontentare sempre il pubblico, proponendo lavori non volgari, dove si ride senza troppi pensieri".
Che rapporto avete con il dialetto?
"È un aspetto fondamentale, permette di rinnovare ogni volta il legame con le nostre radici e la storia lombarda. Un dialetto oggi un po’ italianizzato, che incuriosisce anche i ragazzi più giovani. Non ha idea di quante famiglie vengano a vederci. Quello che mi sorprende è quanto l’interesse sia trasversale: gli spettacoli funzionano ovunque. Al Sistina di Roma abbiamo avuto 1.200 persone di martedì sera. Mentre al Duse di Bologna ogni replica ha fatto il tutto esaurito".
Si aspettava che la Teresa sarebbe diventata la sua vita?
"Era impossibile immaginarselo. Io avevo la mia attività, una concessionaria di sistemi di gestione. Sono entrato in compagnia nel 1983 e per me lavorare
con Felice Musazzi era un onore. Ma alla sua morte credevo che sarebbe finito tutto. Ancora una volta si ripartì invece dall’oratorio di Legnarello, dove il parroco mi chiese di preparare un nuovo testo. E da lì è poi arrivata la mia Teresa".
Diego Vincenti