Alla ricerca di un futuro migliore. Piazza Affari rifiorisce nel verde. Le aziende investono ancora. E le azioni green rendono di più

Gli impieghi con vincoli etici nel 2023 fanno guadagnare il 6,9% contro il 3,8% dei tradizionali. Ma nel mondo solo l’8% dei patrimoni in gestione possono essere definiti “ecosostenibili“.

Alla ricerca di un futuro migliore. Piazza Affari rifiorisce nel verde. Le aziende investono ancora. E le azioni green rendono di più

Alla ricerca di un futuro migliore. Piazza Affari rifiorisce nel verde. Le aziende investono ancora. E le azioni green rendono di più

Avete presente Gordon Gekko, l’indimenticabile Michael Douglas del film Wall Street? Vi ricordate la sua massima "l’avidità è giusta"? Ecco, dimenticatevi di queste aride filosofie di business (e di vita). Perché se l’umanità vuole sopravvivere bisogna mettere da parte le leggi non scritte - ma purtroppo ancor oggi spesso vigenti - delle Borse contemporanee. E rifondare il presente e il futuro su altre basi. Inutile vedere tutto nero perché - parafrasando le parole di Galileo - "eppur si muove". Qualcosa, in questi anni, è cambiato.

Vero, la lezione del crac Lehman non è stata interamente assorbita; vero, non siamo riusciti a superare la fase emergenziale e far diventare strutturale la preparazione del sistema per nuovi impatti di eventuali pandemie sanitarie e bufere finanziarie. Vero, le iniquità e discriminazione nelle società attuali restano dei “cappi al collo“ dell’espressione dei talenti e del pieno riconoscimento del merito.

Ma i primi germogli di un futuro diverso e ancora possibile sono faticosamente spuntanti dai rami secchi del passato.

Gli investimenti green - al netto del “greenwashing“ e delle finzioni narrative di certe società - sono cresciuti a doppia cifra: per Fondazione Symbola, nel quinquennio 2018-2022 sono state 510.830 le imprese italiane che hanno effettuato eco-investimenti, pari al 35,1% del totale, cioè oltre una su tre. A cascata, anche i posti di lavoro legati alle nuove prospettive “verdi“ sono aumentati: stando ai numeri di Asvis, l’AlleanzaItaliana per lo Sviluppo Sostenibile, nel 2022 il Nord-Ovest ha registrato il maggior numero di attivazioni green, con un aumento del 13,5% rispetto al 2021, e portando l’incidenza dei green job sul totale delle assunzioni al 39,2%. Il Nord-Est ha registrato un aumento delle attivazioni del 14,1%, per il 35,4% delle assunzioni totali. Il Centro Italia ha registrato una crescita del 15,9%, con una incidenza del 31,7% sui contratti, il Mezzogiorno ha avuto un aumento dell’11,2% segnando un’incidenza del 32,7%.

A livello regionale, la Lombardia si conferma la regione più dinamica, con un aumento dei nuovi contratti green job del 14,7% rispetto al 2021. La Lombardia ha anche l’incidenza più alta di green job sul totale, con il 40,8%. Anche a livello provinciale, Milano registra il maggior numero di attivazioni green job nel 2022, con il 10,3% del totale italiano e il 41% del totale provinciale. La metropoli è il baricentro del cambiamento, visto che Milano, Roma, Napoli e Torino concentrano circa un quarto dei nuovi posti di lavoro nel settore. Anche qui, però, luci e ombre si mescolano all’orizzonte.

Perché lo stesso rapporto denuncia il ritardo dell’Italia nel settore delle energie rinnovabili. Ostacoli burocratici e la mancanza di politiche e incentivi a favore del settore stanno rallentando la transizione energetica, anche se il sistema produttivo italiano ha continuato a investire nonostante la crisi pandemica e i conflitti mondiali. Ora resta la grande speranza (da non mancare) del Pnrr, possibile acceleratore delle particelle del cambiamento voluto. La potenza da fonti rinnovabili installata nel 2022 è pari a 3 Gigawatt, molto inferiore rispetto a Germania (11 Gw) e Spagna (6). Soprattutto, un dato ancora lontano dal target di 8-9 Gw all’anno da installare di qui al 2030. Così l’Italia resta un importatore netto di energia, con l’80% del suo approvvigionamento energetico totale proveniente dall’estero, principalmente petrolio e gas. Quando invece la guerra in Ucraina dovrebbe averci definitivamente aperto gli occhi sulla necessità dell’autosufficienza energetica come meta a cui tendere, in un mondo sempre più complicato. Per fortuna, a livello europeo le dinamiche green sono simili. E anche allargando lo sguardo al mondo intero, il patrimonio globale in gestione attraverso fondi che investono “in modo sostenibile“ è arrivato a 3,1 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari, cioè l’8% di tutti i patrimoni in gestione nel mondo, secondo l’ultimo rapporto "Realtà sostenibile" dell’Istituto per l’investimento sostenibile della banca d’affari Morgan Stanley (al 30 giugno 2023). Solo nel primo semestre dell’anno scorso i fondi sostenibili hanno attratto 57 miliardi di dollari, in gran parte in un’Europa che continua a essere l’area geografica leader in questo settore sia in termini di volumi gestiti sia per il numero dei fondi offerti. E in Europa sono basati oltre due terzi di tutti i prodotti sostenibili, con il Nord America al 12% e l’Asia inchiodata a un misero 7%. Aumenta anche la consapevolezza dell’investitore, e di conseguenza del gestore: ormai il 60% dei fondi europei usa criteri di esclusione da certe industrie, per esempio dai produttori di armi, tabacco e carbone. Dopo l’entrata in vigore nel 2021 di nuove regole europee (informativa di sostenibilità dei servizi finanziari, Sfdr), che impongono più trasparenza nella definizione dei principi Esg (Environment, Social, Governance). Per far paragoni, solo l’8% dei prodotti Esg in Asia e il 2% in Nord America usa criteri di selezione simili. E - sorpresa - i rendimenti dei fondi sostenibili hanno battuto quelli dei prodotti tradizionali: la loro performance mediana è del 6,9% nella prima metà del 2023, contro il 3,8% dei concorrenti non Esg.