Stipati senza un futuro La protesta dei detenuti

La battitura sulle sbarre per richiamare l’attenzione sui problemi del carcere

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Quattro educatori per 400 detenuti, di cui 306 al Nerio Fischione e un centinaio a Verziano, è un numero che può rendere l’idea di come si sia lontani dal fare del carcere il luogo della rieducazione e del reinserimento in società. Ma al Nerio Fischione si è ormai anche oltre: con una presenza doppia di detenuti rispetto alla capienza regolamentare (189), è difficile assicurare anche solo una vita dignitosa. L’ultimo suicidio, risalente a poco meno di un mese fa, e un’estate bollente, con i detenuti costretti a dormire per terra su lenzuola bagnate per resistere all’afa, hanno esasperato una situazione che è al limite da anni.

Ieri pomeriggio alle 16, poi di nuovo alle 21, una parte dei detenuti dell’ala sud ha urlato il proprio disagio mettendo in atto la “battitura“ contro le sbarre, per richiamare l’attenzione sulla questione sovraffollamento. Lo faranno per due o tre giorni, sempre pacificamente.

Nei giorni scorsi era stato annunciato il respingimento del cibo del carcere, oltre alla battitura 3 volte al giorno, ma il confronto con la garante dei detenuti, Luisa Ravagnani, ha portato a optare per una protesta responsabile per non sprecare il cibo ed evitare che la manifestazione, pur pacifica, potesse sfociare in violenza: la maggior parte dei detenuti si è dissociata dalla battitura fatta nell’ala sud. "Non parliamo di numeri, ma di persone – ha spiegato Ravagnani, che insieme al presidente del consiglio comunale, Roberto Cammarata, si è fatta portavoce del disagio che i detenuti hanno espresso in una lunga lettera –. Il reato è il passato, il futuro è il reinserimento, come previsto dalla Costituzione. Il carcere è l’autobus che dovrebbe condurre verso il futuro, ma oggi ha le gomme bucate. Non si sta chiedendo indulto o amnistia, ma di dare voce a queste persone. Se lo Stato mette le persone in carcere, deve poi poterle gestire. Altrimenti si facciano le liste d’attesa, come nel Nord Europa, per cui entra una persona quando esce un’altra".

La situazione mette a dura prova anche il personale, che resta sotto organico. "La pena non può essere umana o degradante – aggiunge Cammarata –. Si parla da anni di nuovo carcere per Brescia, ma sembra essere un perverso gioco dell’oca in cui si torna sempre al punto di partenza".

La solidarietà privata non manca, anche il Comune di Brescia sta facendo la sua parte, destinando alloggi per chi esce dal carcere, ma il problema è a monte, nei numeri troppo alti.

Federica Pacella