Confortola, polemica in quota sulla conquista dell’ultimo ottomila: "Niente prove"

L’alpinista valtellinese sotto attacco dalla bibbia Internet del settore, Explorerweb. Ma c'è chi lo difende: "Mancano le foto? Gente che parla da casa"

Marco Confortola

Marco Confortola

Basterebbe la foto che ritrae Marco Confortola sulla vetta del Kanchenjunga per fugare dubbi e insinuazioni, ma a un mese di distanza dall’annuncio dell’alpinista valtellinese, conosciuto come “Il cacciatore di Ottomila”, non è stata fornita ancora la prova regina dell’approdo sull’ultima vetta comunicata dallo scalatore e il mondo dell’alpinismo ha iniziato a interrogarsi.

Dopo voci rimbalzate dall’Himalaya all’Italia, fino all’alta Valtellina, questa volta è il sito “Explorerweb“, seguitissimo nel mondo dell’alpinismo d’alta quota, con relazioni dettagliate delle salite realizzate ogni stagione sui colossi dell’Himalaya e del Karakorum,  a raccontare la controversia.  Il 5 maggio Confortola aveva annunciato di aver raggiunto la vetta di 8.586 metri senza ossigeno, ma sui suoi profili social era apparsa solo la fotografia dell’orologio che indicava la quota (8.592 metri). Erano le 2.30 post meridiane, orario nepalese. Il suo team aveva confermato che la comunicazione era arrivata in ritardo per via dei problemi alle batterie del suo telefono satellitare. Noi stessi abbiamo più volte chiesto al team se fosse possibile pubblicare una foto che dimostrasse l’effettivo arrivo in vetta, ma non è mai arrivata risposta se non sulle condizioni dell’alpinista che una volta rientrato al campo base aveva sofferto di problemi di oftalmia ed era tornato a casa velocemente. In seguito Confortola ha diffuso una seconda foto che mostrava un pendio di neve con rocce, scattata in una zona vicina alla vetta del Kanchenjunga, ma senza traccia di essere umani.

Sempre Explorerweb ha rilanciato la segnalazione di alcuni alpinisti secondo i quali l’immagine in questione sarebbe stata estrapolata da uno scatto più ampio appartenente all’alpinista Shehroze Kashif che aveva raggiunto la cima lo stesso giorno alle 3 del pomeriggio, quindi più o meno la stessa ora dell’arrivo in cima annunciato da Confortola. In seguito solo il silenzio e ancora oggi sui canali dell’alpinista non ci sono aggiornamenti. Un elemento in più l’ha fornito lo scalatore olandese Wilco van Rooijen che ha pubblicato un dettagliato resoconto: "Marco Confortola è stato il primo ad arrivare al campo base. Cas (Van de Gevel, altro alpinista, ndr) e io lo abbiamo abbracciato e abbiamo pensato che non fosse arrivato in cima perché lo avevamo sentito dallo Sherpa di Lolo (ulteriore alpinista, ndr). Ma all’improvviso Marco ha indicato di essere arrivato in cima. Ha mostrato con orgoglio le sue foto sul suo telefonino. Era vicino alla cima. Sullo sfondo si potevano vedere circa 4 o 5 alpinisti in tuta rossa che si arrampicavano più in alto. Ma Marco ha detto che la cima era sacra e il luogo dove si era fermato era la cima “rituale“. Cas e io ci siamo guardati. Conosciamo anche le foto degli alpinisti che si erano fermati poco prima della cima “sacra”, ma quel punto sembrava davvero diverso. Inoltre, se vuoi completare i 14 ottomila, devi fornire “foto di vertice” convincenti".

Il Kanchenjunga, che aveva già tentato in passato, dovrebbe essere il 12esimo ottomila per Marco Confortola. Alla sua collezione mancherebbero Nanga Parbat e Gasherbrum I per completare la corona dei 14 ottomila. L’alpinista valtellinese ha un vasto seguito di pubblico ed è apprezzato da tanti anche fuori dall’ambiente. La sua avventura sul K2 nel 2008, quando sopravvisse all’odissea che si portò via ben 11 scalatori sulla seconda cima più alta della terra, ma che gli costò l’amputazione di tutte le dita dei piedi, fece breccia nel cuore di molti che hanno poi iniziato a seguire le sua avventure.

La storia dell’alpinismo è costellata di vette annunciate e mai dimostrate, da Cesare Maestri sul Cerro Torre nel 1959 a Ueli Steck in solitaria sulla parete Sud dell’Annapurna nel 2013. C’è una buona parte della comunità alpinistica che sostiene che gli scalatori non debbano dimostrare proprio nulla in merito alle loro salite, trattandosi, l’alpinismo, di un’attività che può essere ben riassunta nella definizione che ne diede Lionel Terray: «la conquista dell’inutile»; e in quanto tale non ha bisogno di prove. 

"Io credo alla parola, chi sono io per dire che uno mente. Tutta questa gente che sta a casa a seguire le salire sugli ottomila e non crede non la capisco - commenta Fabio Palma, già presidente dei Ragni di Lecco e oggi legato alla preparazione delle giovani promesse dell’arrampicata. Palma è un profondo conoscitore dello sport agonistico - Che ci siano all’interno di chi pratica l’alpinismo e ha sponsor quelli che magari non dicono tutta la verità non c’è dubbio. Siamo umani. Poi a volte è risultato che chi accusava era quello che aveva più cose da nascondere. Nell’alpinismo chi sono io per dire che qualcuno non ha scalato una montagna? Mi sembra assurdo questo bisogno di verità fotografica e magari addirittura di video, come è successo di recente, per certificare una salita su una “normale” su un ottomila. Cosa ci vuole con la tecnologia adesso. Poi se qualcuno ha detto bugie per questione di sponsor sarà lui stesso a soffrirne. Oltretutto il 99,9% delle notizie che arrivano dagli ottomila oggi non riguarda nemmeno l’alpinismo di punta. Non capisco nemmeno perché ci sia rumore. Uno fa una cosa per se stesso. Detto questo io ci credo".