ANDREA
Cronaca

Cavaliere e la Milano di un tempo

Andrea

Maietti

Tiziano Zalli, il fondatore della Banca Popolare di Lodi (1864), scriveva sul Corriere dell’Adda nel 1863: "Il credito, si dice, bisogna meritarlo: chi possiede nella sua fortuna la garanzia di restituire le somme tolte a prestito, l’ottiene: i poveri non lo meritano perché non potrebbero dare in ipoteca che il loro lavoro o il loro onore. Ed intanto, per la mancanza di un po’ di denaro si rende impossibile la realizzazione di un felice pensiero. Ma se voi venite in sussidio di un povero artigiano mediante un prestito fatto con discernimento, la miseria è sconfitta. La opportuna anticipazione assicurerà forse l’esistenza di un uomo, sarà forse la salute di una famiglia e qualche volta fino l’onore". Alberto Cavaliere, milanese d’importazione, come tanti che hanno fatto la milanesità: da Franco Loi a Jannacci. Cavaliere era un sapido poeta popolare, che negli anni ’60 declamava dalla radio del "Gazzettino Padano". Un suo libricino (1964) s’intitola: "Milan e poeu pu". La Milano cont el coeur in man: "Qui son fusi il Sud e il Settentrione, abolito il contrasto centenario: se a qualcuno talor do del terrone lo faccio sempre in tono assai bonario". Quando è finita la Milano di Alberto Cavaliere? Cominciava a dar brutti segnali già allora, negli anni 60, come recitava lui stesso "È morta a poco a poco, o forse no: malgrado le apparenze, si possono fare ancora conoscenze che ispirano fiducia a tutti noi: sono botteghe piccole e discrete, vecchi ostinati a usare il meneghino, gente superstite con il cuore in mano, ancora qui, ancora qui a Milano". Una città non muore, se in tempo ci si accorge ch’è malata. Sarà diverso, meno sorridente, ma finalmente l’anima temprata. E in riva all’Adda o là sopra i Navigli, un pensiero ci sproni: i nostri figli. Toh, parlando della Popolare di Lodi mi è tornata la rima in penna. È stato un tempo il mio mestiere, o forse un gioco, un tic di gioventù. Oggi è la provvida magia dei versi antichi di Alberto Cavaliere.