Ardenno, "mio fratello Simone Rossi non è un killer. Donald si sparò nella cava"

Ardenno (Sondrio), a distanza di circa 13 anni dalla morte di Donald Sacchetto parla Michele Rossi: "Mio fratello vittima di un errore giudiziario"

La cava di Ardenno dove venne trovato il corpo senza vita di Donald Sacchetto

La cava di Ardenno dove venne trovato il corpo senza vita di Donald Sacchetto

Ardenno (Sondrio), 16 ottobre 2022 -  "Mio fratello Simone sta pagando per un errore giudiziario. Ad Ardenno, dove i tragici fatti sono avvenuti, nella notte del 16 maggio 2009, qualcuno sa la verità, una verità che gli inquirenti non hanno mai voluto cercare a fondo perché faceva comodo non cercarla. L’obiettivo era trovare un colpevole a tutti i costi per un omicidio. Si trattò, invece, di un suicidio. Chi sa parli e si liberi la coscienza di un pe so". A fare dichiarazioni per la prima volta da allora e a distanza di pochi giorni da Loana, la sorella del trentaseienne Donald Sacchetto, il cui cadavere fu trovato dai carabinieri nella cava della famiglia Rossi, preoccupata dall’idea "che presto possa incontrare in una strada l’assassino in semilibertà" è l’imprenditore Michele Rossi, fratello del condannato.

«Noi come famiglia abbiamo, in silenzio e con dignità, rispettato i verdetti delle aule giudiziarie – sottolinea Michele Rossi, 46 anni, titolare di un’impresa con una trentina di dipendenti nel settore scavi e movimento terra – pur non condividendoli. Sarebbe auspicabile che, anche dall’altra parte, avvenisse la stessa cosa, ossia il rispetto di ciò che prevede la legge in tema di recupero e riabilitazione dei detenuti. Nel carcere di Porto Azzurro mio fratello ha intrapreso un percorso nel rispetto delle norme. Ha pure conseguito un secondo diploma, dopo quello di geometra, in Agraria. E i permessi che sta ottenendo sono perfettamente in linea con il comportamento impeccabile che ha, dal primo giorno, dietro le sbarre".

Poi l’imprenditore torna sulla condanna a 30 anni inflitta al fratello. "Il pm titolare dell’inchiesta – ricorda – a un certo punto disse a Simone: “Non le è partito un colpo accidentalmente dalla pistola, mentre magari armeggiavate per gioco l’arma?”. Se lui avesse sposato questa ipotesi se la sarebbe cavata con una condanna lieve, per occultamento del corpo. Ma non accettò: “Donald mi ha preso la pistola e si è sparato”, continuò a sostenere. Perché - mi chiede - dopo il suicidio non avvisò le forze dell’ordine di quanto realmente accaduto ? Ma chi gli avrebbe creduto ? Era il bullo di Ardenno, poche ore prima era stato visto mentre sparava in alto. Nessuno gli avrebbe creduto e fece sparire il cadavere. Donald tornò dall’estero perché doveva, in Tribunale, separarsi dalla moglie. Era moralmente a terra. Lo confidò pure a una ballerina del night: “Sono stanco di vivere“. Alla festa del suo compleanno tutti i suoi amici erano con moglie o fidanzata e lui solo. Quella sera, davanti al cancello del deposito di sabbia Simone scese dall’auto per controllare se si chiudesse il cancello, servivano 8 secondi. In fretta Donald, seduto al posto passeggeri, prende l’arma dal vano porta oggetti e si suicida. Chissà perché quando si diffonde la notizia della sua scomparsa familiari e amici si recano subito al ponte del Tartano, su in paese, tristemente noto per essere stato teatro, in passato, di gesti estremi".