
La scheda grigia (contratti a termine)
Il terzo dei quattro quesiti referendari mira a cancellare la possibilità di fare contratti a termine senza indicare causali per i primi 12 mesi. Di fatto incide sulle norme del Jobs Act ma anche su alcuni interventi introdotti dal governo Meloni. Sui contratti a termine si sono succedute norme nel tempo. L'obbligo di causali per le assunzioni fino a 12 mesi era stato eliminato nel 2015 con il Jobs act del governo Renzi e poi reintrodotto nel 2018 con il decreto Dignità del governo Conte. L'ultima modifica è arrivata nel 2023 con il decreto Lavoro del governo Meloni, che ha escluso per i rinnovi e per le proroghe l'esigenza delle causali per i contratti fino a 12 mesi e introdotto nuove causali per i contratti con durata compresa tra i 12 e i 24 mesi (tra cui quella per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti in assenza della previsione contrattuale, che è possibile stipulare fino a fine anno). Chi voterà 'sì' farà ritornare l'obbligo di inserire una motivazione per i contratti a termine di durata inferiore a 12 mesi che, secondo la Cgil che ha promosso il quesito, interessa circa 2 milioni e 300mila. Per la Cgil questo referendum punta a "rendere il lavoro più stabile e certo" mentre i contratti a termine senza causali si prestano ad un utilizzo disinvolto del lavoro in un contesto nel quale le percentuali di disoccupazione consentono la creazione di precarietà. Per i contrari, invece, la norma fa tornare indietro nel tempo, ingessando un meccanismo che da una parte consente flessibilità per alcune tipologie di lavori (come quelli stagionali) e dall'altro rappresenta una delle forme di ingresso per una stabilizzazione lavorativa.