Regionali Lombardia Moratti, appello ai Dem: "Basta con le ideologie. Gay pride? Sbagliai"

L’ex vice governatrice a tutto campo sulla sua candidatura: "Sì al confronto, ho un profilo civico e siamo in un nuovo quadro politico". Il piano per rilanciare la Regione: "Non è più il motore del Paese"

Milano - "C’è un’interlocuzione aperta".

Con i vertici del Pd? Con Enrico Letta?

"Sì. Non è un’interlocuzione facile, ma siamo tutti davanti alla responsabilità di capire che lo scenario politico è cambiato e dobbiamo uscire dagli schemi che guardano al passato". Letizia Moratti, 72 anni – presidente Rai, ministra di Berlusconi, sindaca di Milano, negli ultimi due anni vice del leghista Attilio Fontana e assessora alla Sanità, ora candidata alla presidenza della Lombardia con il sostegno di Calenda e Renzi – ha una “proposta aperta“ al confronto con tutte le forze politiche e civiche: "Io ci sono".

Letizia Moratti, 72 anni
Letizia Moratti, 72 anni

Ha già avuto risposte?

"Sono in overbooking"

Il Pd però appare diviso sul sostegno alla sua candidatura a presidente della Lombardia.

"Siamo di fronte a sfide epocali, con la necessità di costruire una società in crescita ma che cresca rispettando la sostenibilità ambientale e sociale. Siamo di fronte a problemi che riguardano la povertà energetica ed educativa, le fragilità degli anziani. È a questo che dobbiamo guardare. Le ideologie non possono più avere spazio, la gente ha bisogno di risposte concrete. Per questo la mia candidatura ha una forte connotazione civica. La mia storia e la mia collocazione sono quelle di chi si ritrova nei valori liberali, popolari, nei valori della dottrina sociale della Chiesa, con una forte attenzione alle tematiche sociali. La mia scelta è stata avere una lista civica, appoggiata dal Terzo Polo, alla quale si stanno aggregando formazioni d’estrazione diversa. Contro una destra che alza muri, dobbiamo costruire ponti".

Il problema del centrosinistra è il suo nome?

"Io non sto ragionando sul mio nome, ma su una proposta aperta ad altre liste civiche, ai partiti, ai sindaci, ai territori. Una proposta che vuole andare su temi concreti e che possa portare a una convergenza. Non a caso ho proposto contenuti identitari per il centrosinistra: salute, ambiente, lavoro, cultura, legalità. Poi verificheremo se ci possono essere convergenze sui nomi. C’è il mio, vero. Ma è in contrapposizione a quello di Fontana".

Quanto vede larga la sua coalizione? Pensa anche al M5s ?

"Larga abbastanza da includere tutti coloro che intendono dare risposte concrete ai problemi dei lombardi".

Andrebbe avanti nella corsa alla Regione anche senza l’appoggio del Pd?

"Per me è importante dare un contributo per intercettare, attraverso il dialogo sul territorio, le esigenze dei lombardi: mi ha spinto alla candidatura la consapevolezza che il programma del centrodestra, che in realtà è ormai solo una destra, è molto migliorabile. Per questo ho iniziato a lavorare a un programma denso e aperto a tutti i contributi, compresi quelli identitari per il centrosinistra. Io andrò avanti comunque perché sono certa di poter dare un contributo alla regione che amo. Mi dispiace vedere che la Lombardia non ha più il posizionamento che meriti in Europa, benché abbia il potenziale. Sono troppi i giovani che formiamo e per i quali investiamo risorse che lasciano e vanno all’estero. Parliamo di una regione in cui il lavoro si trova, ma le retribuzioni sono basse. Mi riferisco in particolare ai ricercatori, ai medici. Più in generale, se guardiamo al posizionamento della Lombardia, rispetto alle macroregioni, siamo al 94esimo posto su 140. Ci sono province come quelle di Pavia e Lodi che hanno un Pil pro capite più basso della media nazionale. La Lombardia ha perso la peculiarità di essere motore del Paese. Voglio lavorare col Veneto di Zaia e con l’Emilia Romagna di Bonaccini in un’ottica di macroregione che renda più competitiva la Lombardia".

In questi anni il centrodestra ha mascherato i problemi?

"La Lombardia sta vivendo sicuramente una fase di declino. Ma è un declino talmente lento, e la Lombardia ha talmente tante capacità che vanno al di là dell’istituzione, che per ora è visibile più agli addetti ai lavori che ai cittadini. Ma io questi limiti li ho visti dall’interno".

Alla luce di tutto questo, perché fino a pochi giorni fa voleva comunque candidarsi con questa destra?

"Perché speravo che prevalesse nel centrodestra un’anima liberale, popolare, riformista. Man mano che sono passati i mesi, e molto prima delle mie dimissioni, ho dovuto constatare che ci trovavamo di fronte a un centrodestra che ha tradito se stesso. Io sono rimasta fedele ai miei principi, sono sempre stata coerente. Gli annunci di politiche sanitarie che ammiccano ai no vax, in una regione che ha avuto tanti morti, non mi potevano trovare d’accordo. E altrettanto vale per le dichiarazioni del sottosegretario alla Sanità sul rivedere le Case e gli ospedali di comunità, perché la Lombardia è formidabile per le strutture centrali, per gli ospedali, ma debole nelle strutture periferiche. Ho inserito nella riforma un articolo sugli ambulatori di territorio e l’ho fatto ascoltando il sindaco di un piccolo Comune, Dorno. Un esempio concreto di una sanità più capillare".

Dal palco della manifestazione pro-Ucraina ha lanciato la proposta di un’alleanza ampia per i diritti di tutti. Si è pentita di non aver mai concesso il patrocinio al Gay Pride quando era sindaca di Milano?

"Sì, mi sono pentita. In quella fase ho dato retta alla parte più conservatrice della mia maggioranza. Mi sono molto soffermata su quanto ha fatto Trudeau in Canada: lui ha colto quelle istanze e ha impedito che diventassero divisive. Però faccio un esempio positivo. Sul vaiolo delle scimmie ho fatto una scelta diversa: ho chiamato le associazioni più rappresentative del mondo gay, le ho coinvolte. Così sono state partecipi di decisioni di politica sanitaria".