Rousseau: il ring a Cinque Stelle

Dal sogno di democrazia diretta agli scontri fra le correnti: storia della piattaforma Made in Casaleggio

Beppe Grillo e Roberto Fico

Beppe Grillo e Roberto Fico

Roma, 9 febbraio 2021 – Quando i pentastellati volevano aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, anno domini 2013, l'epoca dei Vaffa e del primo botto nelle urne, con oltre il 25% alla Camera e il 24% sfiorato al Senato, la democrazia diretta era indicata come uno dei grimaldelli per scardinare i palazzi della politica. Il sistema vagheggiato da Gianroberto Casaleggio, il guru del web scomparso nell'aprile del 2016, fondatore con Beppe Grillo del Movimento, per gli attivisti entusiasti era un modello insuperabile. Un luogo dell'anima e della mente in cui il motto “uno vale uno” si trasformava in realtà, tanto da consentire a sconosciuti dilettanti della politica, delusi dai vecchi partiti e animati da una sincera voglia di cambiare, di mirare a traguardi impensati ai tempi di prima e seconda repubblica.

Per dire, uno come Danilo Toninelli, che nel 2012 si candidò alle elezioni amministrative a Crema, ottenne nove preferenze e fallì l'ingresso in consiglio comunale, l'anno dopo, raccolti 144 voti alle “parlamentarie”, la selezione per le liste elettorali organizzata in rete, riuscì a sbarcare a Roma dove, nel 2018, sarebbe stato nominato ministro per le Infrastrutture nel governo gialloverde. E allora perché la piattaforma Rousseau, nata nel 2016 proprio come concreta sublimazione della democrazia diretta, “livella” della politica che avrebbe dovuto garantire uguali opportunità a tutti i “cittadini”, oggi è diventata fonte di scontro, con Grillo che ha stoppato Casaleggio junior nella scrittura del quesito da rivolgere agli attivisti sul sostegno al governo Draghi, mentre fuori infuria la battaglia fra governisti anti-Rousseau e movimentisti pro-democrazia diretta?

In rete come sul ring

La storia di Rousseau, dal debutto con un voto su due proposte di legge da portare in parlamento, è fitta di polemiche. Qualche esempio. Nel novembre dell'anno scorso si vota per decidere chi potrà intervenire nel dibattito pubblico post-stati generali. Si alza una voce in rete: “Si può votare tre volte per la stessa persona”. È solo un problema grafico e l'abbiamo subito risolto, replicano da Rousseau. Il dubbio rimane. Anche perché il conteggio dei dati ritarda. Il reggente Vito Crimi non vuole renderli pubblici. Casaleggio junior rilancia con un nuovo strumento, il “mi fido”, una sorta di “like” che gli iscritti possono assegnare agli esponenti più in vista. Alessandro Di Battista fa incetta di apprezzamenti, suscitando le invidie del fronte più istituzionale. Poi ci pensa una trasmissione tv, “Propaganda live” su La 7, a sparigliare le carte, lanciando un “infiltrato”, iscritto negli anni precedenti alla piattaforma grillina, con tanto di spot. “Un candidato di cui fidarsi”. In breve conquista voti a raffica. Anche dai parlamentari che scelgono di manifestare così i loro dubbi su quello che considerano lo strapotere di Davide Casaleggio sulla piattaforma. L'intruso in breve scala la classifica.

Nel settembre 2019 un altra tappa delicata. Su Rousseau gli iscritti sono chiamati a esprimere il loro giudizio sul sostegno al Conte-Bis. I mal di pancia non mancano. C'è chi non se la sente di scaricare la Lega a vantaggio del Pd, che lo stesso Di Maio poco tempo prima aveva definito il “Partito di Bibiano”. La procedura è farraginosa. Numerosi attivisti segnalano i problemi per l'autenticazione. Ci si accapiglia sulla posizione dei tasti Sì e No nella pagina del quesito. C'è persino un black-out, forse dovuto all'alto volume di traffico. Alla fine arriva il via libera al governo con il Pd. È d'accordo il 79% dei votanti. Gli organizzatori esultano. È il “record mondiale di partecipazione a una votazione politica online in un solo giorno”, si legge in una nota. Hanno espresso il loro parere in 79mila. Tanti per Rousseau. Pochi per una qualsiasi consultazione “live”.

I descamisadi si mettono il completo blu

L'evoluzione di Rousseau, da “braccio armato” della democrazia diretta a ring per le scazzottate fra le decine di anime a Cinque Stelle, rispecchia il cambiamento del Movimento fondato da Grillo. Gli alieni della politica che sventolavano come una bandiera la loro indisponibilità a una qualsiasi alleanza con gli altri partiti hanno smesso i panni degli extraterrestri per indossare completi scuri e cravatte regimental. Dopo il trionfo elettorale del 2018 hanno firmato il contratto con la Lega di Salvini, avviando la breve stagione del governo gialloverde, salvo scaricare il Capitano dopo la sbornia del Papeete, non esitando a stringere un patto con il Pd. Tutto nel tempo di una capriola. È di questi giorni la giravolta finale. Il Movimento, Grillo benedicente, è fra i sostenitori del nascente governo Draghi, massima – e nobilissima – espressione della sostituzione dei politici con i tecnici, categoria che i grillini ruspanti del primo decennio del secolo vedevano come il drappo rosso agitato di fronte al toro. La trasformazione è completa. Di Maio si comporta come un vecchio democristiano, Conte viene parcheggiato in bacino di carenaggio nell'attesa di rientrare in scena alla Fanfani, Grillo bacchetta e blandisce i suoi come il Craxi dei tempi migliori. Sì, le fragole sono davvero mature.