MANUELA MARZIANI
Economia

Battaglia nel cuore Pavese del vino italiano: Terre d’Oltrepò a rischio sfiducia, soci sul piede di guerra

Il 20% dei soci della realtà che raggruppa i viticoltori del pavese chiede un’assemblea e la testa dei vertici. “Non c’è più fiducia, si dimettano tutti”. Un produttore: “Ormai è tardi, meglio portare i libri in tribunale”

Sono oltre seicento le aziende vinicole associate a Terre d’Oltrepò

Sono oltre seicento le aziende vinicole associate a Terre d’Oltrepò

BRONI (Pavia) – Nuvole nere si addensano su Terre d’Oltrepò, che rappresenta l’eccellenza sulla scena viticola italiana dal 2008, anno in cui il gruppo è nato a seguito della fusione tra la Cantina di Casteggio (1907) e la Cantina Sociale Intercomunale di Broni (1960). Un gruppo composto da 107 soci, che rappresentano circa il 20% del capitale sociale ha chiesto la revoca del Consiglio di amministrazione e la convocazione dell’assemblea. La mozione di sfiducia arriva a causa del “profondo dissenso per la gestione attuale della cooperativa”. Il gruppo nel 2017 ha acquisito La Versa, storico brand che dal 1905 porta con sé oltre un secolo di tradizione e rappresenta una delle più antiche Cantine Sociali del territorio, situata nel cuore della più vasta area in Italia vocata alla coltivazione di Pinot Nero, terza in Europa dopo Borgogna e Champagne con il 75% dei terreni dedicati alla coltivazione del vitigno. Ma i problemi sono tanti e da TdO si allargano all’intero territorio dove da una superficie vitata di 13mila ettari si è passati agli attuali circa 8mila.

Umberto Callegari nuovo ceo di Terre d'Oltrepo Cooperativa
Umberto Callegari nuovo ceo di Terre d'Oltrepo Cooperativa

“Nell’assemblea del 15 maggio sono state eluse richieste di chiarimenti – si legge in un comunicato firmato dai soci che chiedono la sfiducia –. Ci si attendeva fosse un momento di trasparenza e confronto costruttivo sull’andamento economico-finanziario della cooperativa e sulle prospettive future, si è invece assistito all’ennesima occasione in cui il Cda ha scelto l’autoreferenzialità, eludendo le richieste di chiarimenti concreti e, ancora una volta, fornendo informazioni incomplete, contraddittorie e spesso discordanti rispetto alle comunicazioni precedenti”.

Al centro delle recriminazioni dei soci ci sarebbero i pagamenti per i conferimenti delle uve promessi e non ancora arrivati. “Nel corso dell’assemblea – hanno aggiunto i soci – il clima è ulteriormente degenerato di fronte alle legittime domande dei soci riguardo a promesse non mantenute in particolare sugli acconti e sui pagamenti delle uve si è arrivati a toni inaccettabili, con insulti rivolti ai soci da parte della dirigenza. Un comportamento che ha definitivamente incrinato il rapporto di fiducia e rispetto”. Per queste ragioni, un gruppo di soci che rappresenta circa il 20% del capitale sociale ha raccolto le firme necessarie, ben oltre le 51 previste dallo statuto, per richiedere formalmente la convocazione di un’assemblea ordinaria con all’ordine del giorno la sfiducia al Consiglio di amministrazione e al collegio sindacale.

Ma c’è anche chi non concorda con la sfiducia. “Da economista prima che da produttore – ha sottolineato Enzo Dia – ho preparato grafici e analizzato la situazione. Terre d’Oltrepò è fuori mercato e in crisi di liquidità. Per questo motivo non credo che far cadere il Consiglio di amministrazione possa essere una soluzione, sarebbe meglio portare i libri in tribunale”. Alla base della crisi ci sarebbe una produzione limitata di uve a causa della crisi climatica che l’anno scorso è stata di 160mila tonnellate contro le 400mila del passato e un costo molto basso. “In Oltrepò ci sono realtà che pagano molto più le uve – ha aggiunto Dia – e TdO ha scelto di privilegiare il vino in bottiglia per fare una scelta d’eccellenza. La promessa era stata quella di triplicare i ricavi, invece le uve sono diminuite e i costi sono esplosi. Così Terre d’Oltrepò ha aumentato l’indebitamento ed è calata la remunerazione delle uve”.