
PAVIA
Abbottonata, piegata e ingrigita. La camicia (nella foto) che il giudice Rosario Livatino indossava la mattina del 21 settembre 1990 quando il commando della Stidda siciliana lo incontrò a bordo della sua auto sulla statale Agrigento-Caltanissetta, racconta più di quello sembra. Chiusa in una teca con i bordi argentati è diventata una reliquia che fa riflettere su un’epoca della nostra storia e sul senso della giustizia. Accade a tutti, ma soprattutto a chi, guardando quella camicia non può evitare d’avere ancora lo sguardo del “giudice ragazzino“ che implorava pietà ai suoi killer e invece è stato freddato. Uno di loro, Paolo Amico, condannato all’ergastolo perché tra gli esecutori materiali dell’omicidio ieri ha voluto fermarsi davanti alla reliquia. Lo ha fatto nel carcere di Torre del Gallo che il detenuto ha chiesto di raggiungere da Opera dove si trova recluso. Ieri, infatti, la camicia che il giudice indossava è entrata in carcere nell’ambito di una serie di iniziative legate alla figura di Livatino, il primo magistrato dichiarato beato per il suo martirio, organizzate dal Centro di solidarietà “Giò Bonomi“, dall’Unione dei giuristi cattolici e da varie istituzioni cittadine. Sono stati proprio i promotori di “Sub Tutela Dei“, la mostra dedicata al Beato Livatino a chiedere che venisse esposta anche in carcere. E la direttrice di Torre del Gallo Stefania Mussio, ha accolto la proposta con favore.
Manuela Marziani