
Alberto Stasi (Ansa)
Garlasco (Pavia), 8 settembre 2014 - «Quelle cosa sono?». «Me le sono fatte qualche giorno fa», risponde Alberto Stasi. Le nove di sera del 13 agosto 2007. Stasi è seduto nell’ufficio del comandante della stazione dei carabinieri di Garlasco. Qualche ora prima ha scoperto il corpo della fidanzata Chiara Poggi sulla scala nella cantina, nella sua villetta in via Pascoli. Dall’altra parte della scrivania il capitano Gennaro Cassese si appresta ad ascoltarlo. I due segni sull’avambraccio destro forse sono graffi o escoriazioni. Sono leggeri, uno appena più inciso dell’altro. A prima vista non parrebbero freschi. Un brigadiere scatta però un paio di fotografie. Le immagini finiscono nei faldoni processuali e lì rimangono per sette anni. Qualche settimana fa gli investigatori dell’Arma hanno prodotto le immagini al sostituto procuratore generale di Milano, Laura Barbaini, che conduce le nuove indagini sul caso. Il pg ha confrontato le immagini con quelle racchiuse negli atti, constatato la corrispondenza, sentito il brigadiere. «Non ho mai saputo di questi graffi», dice ai giornalisti Rita Poggi. Come sempre la madre di Chiara non nomina Alberto Stasi. Rimane ferma convinzione della sua colpevolezza e ripete il credo che la sostiene: «Spero che ogni elemento nuovo sia un passo verso la verità».
Sette anni dopo. Un episodio, come altri, emblematico. Il processo ad Alberto Stasi riprenderà l’8 ottobre davanti alla prima Corte d’Assise d’appello. Peserà l’esito delle nuove perizie. Peserà la ricostruzione virtuale della camminata di Alberto Stasi nello scenario insanguinato della casa della fidanzata, senza che le suole delle sua scarpe Lacoste si sporcassero. Possibile, avevano spiegato i periti del giudizio di primo grado anche senza offrire certezze, per un processo di essiccazione, per una dinamica di «evitamento» delle macchie, per lo strofinio delle suole delle calzature, sequestrate dopo alcune ore.Al contrario, l’esito della nuova perizia non sarebbe stato favorevole all’ex bocconiano. Agli atti ci sono le immagini di macchie importanti di sangue ancora fresco, tanto da lasciare intravedere il colore marrone del pavimento e i disegni delle mattonelle. Tanto che quel pomeriggio il pm Rosa Muscio e i carabinieri furono costretti a cambiare per tre volte i calzari lordi di sangue. È un fatto che i primi carabinieri entrati in casa Poggi, il brigadiere Andrea Serra e il carabiniere scelto Gaetano Moscatelli, ne uscirono con le suole pulite. Ma, ribattono gli accusatori di Stasi, i due militari si mossero con grande circospezione perché sapevano bene cosa li attendeva in quella casa. In più, le loro calzature vennero acquisite solo una ventina di giorni dopo. Sette anni dopo. Un titolo che sarebbe piaciuto a Dumas padre. Sette anni dopo riaffiorano le foto dei braccio segnato di Alberto Stasi. Sette anni dopo dei giudici hanno deciso che dovevano essere studiati i margini dei margini ungueali della vittima. Due unghie hanno rivelato piccole tracce del cromosoma maschile Y. Una quantità esigua, forse insufficiente per un confronto con il cromosoma Y di Alberto Stasi. Sette anni dopo è stata sequestrata la bicicletta nera da donna in uso alla famiglia Stasi. La mattina dell’omicidio due vicine scorsero un biciclo nero da donna accanto al villino di Chiara. Giorni fa, il gip di Pavia Carlo Pasta ha disposto l’imputazione coatta (falsa testimonianza) per l’ex maresciallo Francesco Marchetto, che all’epoca comandava la caserma di Garlasco. Il sottufficiale aveva dettato una annotazione di servizio dove si riferiva che la bicicletta avvistata dalle vicine dei Poggi era diversa da quella della famiglia Stasi. «I genitori di Chiara avevano presentato un esposto. Il pm ne aveva chiesto l’archiviazione.