MANUELA MARZIANI
Cronaca

"La detenzione a Torre del Gallo? Un inferno"

Filippi, ex presidente di Asm Lavori, ha trascorso in cella anche il periodo di pandemia: niente acqua calda e poca carta igienica. Altro che rieducare

Migration

di Manuela Marziani

Sta vicino ai detenuti che non hanno una famiglia ad aspettarli fuori dal carcere e aiuta un’associazione di volontariato che si occupa di ragazzi con problemi, in attesa di poter iniziare a lavorare come dipendente in un bar di Voghera, Luca Filippi impiega così il proprio tempo. Condannato a 2 anni, 8 mesi e 20 giorni di reclusione per l’utilizzo a fini personali delle carte di credito di Asm Lavori di cui era presidente, ora il 50enne è un uomo nuovo.

Si sente cambiato?

"Sono un uomo delle istituzioni e vedere come le istituzioni invece di aiutarti a compiere un percorso di recupero, ti portano ad odiare le istituzioni stesse, mi fa male come fa male alla direzione e a chi lavora in carcere. Questo sistema non funziona".

Com’è stata la sua esperienza a Torre del Gallo?

"Il carcere di Pavia non ti aiuta per niente. La struttura è vetusta, le celle hanno una superficie che non raggiunge i 3 metri quadri e sono in condizioni disastrose, manca l’acqua calda quindi fatichi a lavare i piatti e a farti la doccia. Non solo, la palestra è inagibile da 5 anni perché ci piove dentro, la scuola non c’è più, i colloqui si fanno in corridoio, la chiesa è ospitata nel teatro. Altri istituti di pena hanno le lavanderie a gettoni, da noi i piatti si lavano con l’acqua fredda. Se il carcere deve essere rieducativo, questo non ti rieduca, ti porta a sviluppare una rabbia nei confronti della società. Durante la pandemia ogni giorno, io trascorrevo in cella 23 ore. Non si poteva leggere perché non era possibile prendere libri dalla biblioteca, non si potevano avere colloqui. Era difficile sopravvivere".

Chi le è stato accanto?

"La mia famiglia e mi ritengo fortunato. Altri, quando entrano vengono dimenticati da tutti. A loro penso e per loro mi preoccupo. Se già non hanno un buon rapporto con le istituzioni e vengono rinchiusi in un posto in un cui non funziona nulla, non possono capire che le istituzioni li aiutano. Non tutti hanno intenzione di redimersi, ma anche chi ha intenzione di farlo, è in enorme difficoltà. Gli educatori ti vedono una volta al mese e non possono seguirti nel tuo percorso. Il medico non c’è, così spesso accade che finisci in depressione e quattro detenuti hanno deciso di farla finita. Perché, se non hai i soldi, ogni mese hai 3 rotoli di carta igienica, 2 saponi, 6 forchette di plastica e poco altro. Devi accontentarti di mangiare il rancio che ti danno e di bere il caffè nelle scodelline lasciate vuote dalla ricotta. Abbiamo avuto il riscaldamento rotto e ci siamo sentiti trattati come animali".

Ma in carcere non si può lavorare?

"Pochissimi lo fanno e percepiscono 80 euro al mese. Adesso stanno tornando i corsi, uno per panettiere e uno per mulettista, poi c’è un corso alla familiarità che frequentano in cinque e uno di letture filosofiche per 7 persone quando in carcere ci sono 600 detenuti, 300 comuni e 300 speciali nella struttura nuova".

Ha mantenuto i contatti coi suoi compagni di cella?

"Ho provato a insegnare la nostra lingua a chi non la conosceva e adesso tengo i contatti con alcuni che vorrebbero recuperare".

Lei ha ottenuto l’affidamento in prova e lavorerà.

"Avevo chiesto di uscire prima perché avevo i requisiti, non me l’hanno consentito perché non avevo relazioni sufficienti. Per forza, passavo in cella 23 ore ogni giorno. Purtroppo quando mi sono presentato spontaneamente in carcere per pagare il mio debito, ho lasciato mio fratello a gestire da solo il nostro bar e così abbiamo deciso di comune accordo di chiuderlo. Andrò a fare il dipendente".