Fibronit, dramma amianto: bonifica-truffa

Broni, la Procura sequestra 140mila metri quadrati dell’ex stabilimento. I lavori per ripulire capannoni e piazzale non sarebbero regolari

L’intervento cautelativo della magistratura mette in dubbio la qualità dei lavori

L’intervento cautelativo della magistratura mette in dubbio la qualità dei lavori

Broni (Pavia) - Non solo il problema non sarebbe stato risolto, ma anzi aggravato. Le pur pesanti contestazioni di frode nelle pubbliche forniture e truffa aggravata per ottenere soldi pubblici, sembrano quasi nulla rispetto alle ipotesi di inquinamento ambientale legato ad esposizione all’amianto. Soprattutto in un territorio già provato da decenni di lutti.

Da ieri mattina sono sotto sequestro i 140mila metri quadrati della Fibronit a Broni, la fabbrica di morte chiusa dal 1994 con la messa al bando del pericoloso materiale. Un sequestro probatorio, "necessario - spiega il comunicato della Procura di Pavia - per svolgere accertamenti tecnici volti a riscontrare le ipotesi di indagine, con particolare riferimento all’attuale presenza di sostanze nocive". Le indagini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Pavia riguardano infatti i lavori del secondo lotto della bonifica dell’area. "I lavori - spiega ancora la Procura - consistevano nel completamento dello smaltimento dei manufatti-tubazioni collocati sui piazzali esterni dello stabilimento, della bonifica dell’interno dei capannoni contaminati da amianto e della rimozione e smaltimento di tutte le lastre di copertura e tamponamento degli edifici dell’area".

Proprio la fase dei lavori più complessa e delicata, terminata la quale a Broni era stata letteralmente festeggiata come la fine di un incubo. Ma la Finanza stava indagando dal 2019, monitorando le attività e portando alla luce sospetti su quello che viene definito (pur se ancora in ipotesi) "un articolato sistema di frode in pubbliche forniture e prestazioni di servizi", a vantaggio delle società che si erano aggiudicate la progettazione ed esecuzione dei lavori. "Dalle indagini è altresì emerso – prosegue la Procura – che alcuni degli indagati, fra cui i direttori di cantiere, dei lavori e della sicurezza, in base ai ruoli rivestiti che prevedono, tra l’altro, di impartire delle direttive agli operatori di cantiere nonché di vigilare sulle operazioni eseguite, anche omettendone l’attività di controllo in loco, avrebbero consentito che l’esposizione alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti amianto nell’area del sito monitorata dagli investigatori, non venisse ridotta al minimo con pregiudizio per gli operatori stessi e per la contaminazione dell’ambiente esterno". Sono 8 gli indagati, in stato di libertà.

Nel frattempo la cittadina del Pavese, dove i calcoli sull’impatto dell’uso di fibre di asbesto nella produzione raccontano di un picco di rischio di mortalità proprio fra il 2020 e il 2025, ritorna sotto la cappa della paura. "L’incidenza sulla mortalità proseguirà fino almeno al 2034 solo per quello che era avvenuto dentro la fabbrica", raccontava il dirigente di Ats Pavia, Ennio Cadum. La fine dell’intervento sui capannoni aperti nel 1932 aveva dato il segno di un’inversione di rotta. Ora, una nuova pesante ombra.