STEFANO ZANETTE
Cronaca

Biolevano, la “filiera corta“ non c’era

La truffa delle rinnovabili: tramite un sistema di cambio bolle ottenevano il massimo dei contributi

di Stefano Zanette

La “filiera corta“, per ottenere il massimo degli incentivi, era solo sulla carta. L’impianto della Biolevano, a Olevano Lomellina, posto sotto sequestro ieri mattina, produce energia elettrica con una capacità produttiva di 20,1 megawattora, con un fabbisogno annuo di almeno 230mila tonnellate di biomassa legnosa. E la società ha ottenuto negli anni (dal 2015 al 2019) sempre il massimo degli incentivi per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, corrisposti dal Gestore dei Servizi Elettrici (Gse). Ma l’inchiesta della Procura di Pavia, attraverso indagini della Guardia di finanza e dei carabinieri, contesta la falsità delle documentazioni, esibite anche ai controlli ministeriali, sulla provenienza e tracciabilità del materiale. In pratica le biomasse legnose, che per ottenere il contributo statale dovevano arrivare da un territorio collocato entro i 70 chilometri dall’impianto, in realtà provenivano da molto più lontano e in particolare spesso dalla Svizzera.

Un “sistema“ di “cambio bolle“ che coinvolge, oltre agli amministratori della società, sia con incarichi formali che per presunti ruoli occulti, anche fornitori e intermediari, i cosiddetti “collettori“. Dei 13 indagati, 11 sono i destinatari dei provvedimenti cautelari eseguiti ieri mattina, 6 agli arresti domiciliari e 5 con obbligo di firma. Di Vigevano sono Simone Sguazzini (ai domiciliari), 33enne, considerato tra i promotori e organizzatori dell’associazione, come dipendente delle due società che negli si sono succedute come “collettori“; Sara Voglini (obbligo di firma), 47enne considerata partecipe dell’associazione che "consapevolmente forniva rilevante apporto operativo alla realizzazione del falso impianto documentale"; e Matteo Spinelli (obbligo di firma), 31enne anche lui considerato partecipe dell’associazione che "forniva rilevante apporto tecnico-operativo alla realizzazione del falso impianto documentale".

Di Vigevano anche L.B. (indagato ma non destinatario di provvedimenti), 45enne che in qualità di “collettore“ era pure considerato promotore e organizzatore dell’associazione, fino alla messa in liquidazione della sua società nel 2019, ma che con le sue spontanee dichiarazioni alla Procura (nell’ottobre 2019) ha fatto scaturire le indagini che pure lo hanno coinvolto. Residenti invece fuori provincia tutti gli altri indagati, fra i quali spicca il nome di Franco Pietro Tali (ai domiciliari), 71enne originario di Tempio Pausania (Otranto) e residente a Milano, noto soprattutto come ex amministratore delegato di Saipem, che nonostante la cessione di quote azionarie è considerato dagli inquirenti "amministratore di fatto della Biolevano Srl - come si legge nell’ordinanza firmata dal Gip Fabio Lambertucci - svolgeva un primario ruolo di pianificazione delle strategie i del sodalizio criminoso, costituendo, tra l’altro, punto di riferimento cui rivolgersi".

Tra i beni posti sotto sequestro preventivo “per equivalente“ per il raggiungimento dei 143milioni di euro contestati, anche appunto l’impianto di Olevano, del valore di circa 70 milioni di euro, un prestigioso appartamento nel cuore di Milano, una villa di pregio con piscina vista mare sita in Portobello di Gallura (Sassari) e una villa in collina sita in Galbiate (Lecco). L’attività produttiva non è stata bloccata: continua, garantita attraverso la nomina di un amministratore giudiziario, come precisato dal sostituto procuratore titolare dell’inchiesta, Paolo Mazza.