
di Barbara Calderola
Riapre la terapia intensiva e il pronto soccorso scoppia. Se Monza è al collasso, Vimercate soffre, dopo settimane di battaglia serrata in corsia contro il virus ricompaiono i casi gravissimi: cinque per adesso.
Il reparto era Covid-free da giugno, quando l’ultimo paziente lasciò uno dei 24 letti aperti, il quadruplo del normale, per fare fronte alla prima ondata. Mentre in attesa di ricovero ordinario, ma già con la diagnosi di infezione, ieri erano in 21.
Si aggiungono ai 161 degenti, 62 dei quali vengono assistiti o con il casco, o con l’ossigeno, come Iva Zanicchi, che ieri l’ha reso noto attraveraso i social. Sono quattro le aree dell’ospedale sin qui convertite all’emergenza: rosa bianca e gialla, tulipano giallo e rosso. Quasi la metà dei 450 letti totali, in primavera per due terzi destinati alla pandemia.
Situazione difficile anche a Carate, dove dagli otto pazienti di una settimana fa si passa a 42, dei quali 39 in condizioni critiche.
Dopo il quarto piano, anche il quinto è stato convertito.
"Lo sforzo è massimo in tutti i nostri poli - dice Nunzio Del Sorbo, direttore generale -. Il personale unito sta rispondendo con abnegazione ai bisogni dei malati".
Si corre per salvare vite, rispetto a marzo una delle armi usate per fronteggiare la nuova fase è la tempestività delle degenze. Medici, infermieri, tecnici sono di nuovo in prima linea, la curva dei contagi sale, si prova a resistere in attesa del picco, che potrebbe essere attenuato dal nuovo lockdown.
O, almeno così si spera.
In via Cosma e Damiano c’è ancora spazio, qui, a differenza di metà ottobre arrivano quasi solo casi dal Vimercatese, il Sars-Cov 2 corre anche in questo territorio.
Sono tornate le crisi respiratorie, ma si affrontano a uno stadio iniziale, l’effetto sorpresa durante la prima ondata è stato uno schiaffo che si è tradotto in un bilancio pesante: 260 morti, più di mille le persone passati da qui.
L’Azienda ha perso un dirigente, Oscar Ros, il 140esimo medico morto sul campo per colpa del coronavirus. "Abbiamo pagato un tributo altissimo all’epidemia – aggiunge il direttore – non abbiamo mai sottovalutato il pericolo".
In rianimazione non c’era un caso Covid esattamente da cinque mesi, me nessuno si era illuso di non vederne più. "Ci speravamo, ma il rischio della seconda ondata era concreto. E adesso ci siamo in mezzo".