Sei richieste di rinvio a giudizio per il treno deragliato a Carnate

L’accusa varia dal disastro colposo alle lesioni personali colpose, fino al tentativo di depistaggio

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di Stefania Totaro

La Procura di Monza chiede il rinvio a giudizio per i 6 dipendenti di Trenord coinvolti nell’inchiesta sul deragliamento del treno a Carnate. Le accuse restano quelle di disastro colposo e lesioni personali colpose per capotreno, macchinista e addetti alla manutenzione e l’accusa di tentativo di depistaggio a carico di due dirigenti.

Il 19 agosto 2020 il convoglio, proveniente da Milano Porta Garibaldi e diretto a Paderno Robbiate, giunto a fine corsa alla stazione si è invece rimesso in moto da solo senza guida né controllo perché gli addetti erano andati al bar a bere il caffè. L’unico passeggero a bordo, Salak El Mansouri, se l’era cavata con contusioni per 40 giorni di prognosi. Di disastro ferroviario colposo e lesioni personali colpose sono ora imputati il capotreno Massimiliano Torri, il macchinista Mauro Zorzan e i tecnici della manutenzione Francesco Cirillo e Livio Romano. Secondo la pubblica accusa, rappresentata dal pm monzese Michele Trianni, il treno Trenord 10767 "veniva lasciato incustodito senza inserimento di freno di stazionamento e di freno a molla. Essendosi verificata un’anomala ricarica della condotta generale del freno continuo il convoglio, privo di personale di bordo, riprendeva autonomamente la sua corsa in direzione Milano e terminava alla stazione di Carnate sviando sul tronchino, sfondandolo e deragliando sul terrapieno". Secondo gli inquirenti il disastro è stato causato anche dalla "condotta del personale della squadra manutentiva che aveva da poco sottoposto a revisione l’impianto frenante, senza riscontrare il malfunzionamento". Inoltre, nel corso delle indagini, sarebbe emerso "come alcune figure dirigenziali di Trenord srl, intuita la causa del guasto, al fine di ostacolare le indagini sul disastro ferroviario, abbiano fatto rimuovere dal relitto della vettura semipilota - e poi occultato - il rubinetto del freno ed il rubinetto di intercettazione denominato MIF". Di tentati depistaggio e frode in processo penale sono chiamati a rispondere il direttore della manutenzione Giorgio Colombo e il responsabile della manutenzione di Milano Fiorenza, dove le vetture incidentate erano state depositate, Gianluca Devcich. Sono ritenuti responsabili in quanto "entrambi incaricati di pubblico servizio di trasporto ferroviario" e accusati di avere "mutato artificiosamente il corpo del reato e lo stato di cose connesse al reato", con l’aggravante di avere "commesso il fatto mediante occultamento di un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile all’accertamento del reato". Accuse negate dagli imputati. I dirigenti sostengono di non avere mai voluto sottrarre o modificare alcuno strumento utile ai periti per risalire alle cause del deragliamento e tantomeno di avere ordinato ai sottoposti di agire in questo senso. Il capotreno ha subito sostenuto che fosse nelle sue facoltà allontanarsi dopo lo stazionamento della locomotrice, del tutto in sicurezza in seguito all’azionamento del sistema frenante, accorgimento che non spettava a lui, ma al macchinista inserire. La prima ricostruzione dell’incidente eseguita dalla Polizia ferroviaria di Milano, infatti, dopo l’esame eseguito sulla ‘scatola nera’ del treno, aveva evidenziato che il freno della locomotrice non era risultato azionato o era difettoso.