
Il peso massimo Lorenzo Zanon centra il campione mondiale Larry Holmes
Lentate sul Seveso (Monza e Brianza), 3 ottobre 2021 - Torino, 18 aprile 1979. Sul ring c’è in palio il titolo di campione europeo dei pesi massimi. Detentore è Alfredo Evangelista, detto la Lince di Montevideo , un uruguaiano naturalizzato spagnolo dal corpo tozzo e un pugno pesante come un macigno. "Fino a quel momento aveva perso solo 2 match, uno con me anni prima a Bilbao e uno con Muhammad Ali. Aveva deciso di mettere in palio volontariamente la cintura pensando di avere vita facile. Io ero sfavorito: mi chiamavano il pugile fifone , perché toccavo e mi ritraevo subito… Per forza, non ero dotato di un pugno pesante, grave handicap per un peso massimo, era come se combattessi con un braccio solo: non era sempre stato così, quando da ragazzo avevo iniziato a combattere, li stendevo tutti per ko. Poi feci un terribile incidente, a 18 anni mi fratturai la rotula in tre punti: da allora ho perduto forza… perché i pugni partono sempre dal piede". Lorenzo Zanon ricorda bene quel giorno. Il più grande campione italiano dei pesi massimi dopo Primo Carnera da quindici anni vive nel Natal Rio Grande do Norte, Nord-Est del Brasile. Ma ogni tanto torna nella “sua” Lentate sul Seveso, in Brianza. Come in questi giorni, in cui sta svolgendo un intenso programma di fisioterapia nella palestra delle figlie (Simona, Manuela, Elisa), la Fitland di Barlassina. Anche se non può fare un passo senza che qualcuno lo riconosca e corra a salutare il campione dei brianzoli.
Torniamo a Evangelista. "Pensava di farmi fuori in due o tre riprese, ma non andò così. Avevo il terrore del suo pugno, aveva un gancio micidiale".
Lei rispose con un capolavoro di tecnica. "Per sei riprese lo surclassai col jab, poi si riprese nella fase centrale, in cui mi colpì un paio di volte, ma riuscii a reggere".
Poi il gran di finale, tre round vinti in maniera limpida. "Ai punti, due giudici su tre non ebbero dubbi e mi assegnarono la vittoria con largo distacco".
In Italia (e in Brianza) la gioia esplose. "Diventai campione europeo dei pesi massimi a 24 anni di distanza dall’ultimo pugile italiano che ci era riuscito. Un’enorme soddisfazione: non ero più il pugile fifone , ero diventato il pugile intelligente ".
Il 10 settembre ha compiuto 70 anni, un bilancio? "Ci sono pugili che trascorrono la propria vita pensando agli anni sul ring, per me è stato solo un momento. Ho smesso da giovane, a 29 anni: ormai avevo conquistato il titolo italiano, quello europeo, avevo combattuto in America per il titolo mondiale. Non avevo più stimoli, non avevo più quell’energia che mi spingeva ad alzarmi all’alba per andare a correre alla Montagnetta di San Siro o di filare in palestra ad allenarmi al Ferruccio di Seregno dopo il lavoro come metalmeccanico. A un certo punto, mi resi conto che non pensavo più alla boxe come una volta, coi soldi guadagnati sul ring mi ero comprato l’officina in cui lavoravo, decisi di appendere i guantoni al chiodo".
Cosa le ha insegnato la boxe? "Innanzitutto il rispetto, a non sottovalutare mai il proprio avversario. Un insegnamento che vale anche per la vita di tutti i giorni. E poi il pugilato ti insegna a soffrire e a stringere i denti, sempre, anche quando vorresti gettare la spugna".
Come quando si fece male? "Avevo 18 anni, avevo appena vinto il titolo italiano Novizi e fatto due match con la Nazionale. Il mio papà volle premiarmi regalandomi una macchina, una Fiat 500. Ne approfittai per andare a fare un giro…".
E? "Durante un sorpasso feci un frontale con un’Alfa. I medici dissero che non avrei più potuto fare sport".
E invece? "Mi sottoposi a due interventi chirurgici, e il mio allenatore Luigi Casati fece di tutto per farmi tornare a combattere. Gli amici uscivano, andavano in balera o al bar, mentre io pensavo solo ad allenarmi".
Mi parli delle sue origini. "La mia famiglia veniva da Padova, gente umile, mio padre lavorava in ferriera, mia madre in un negozio di generi alimentari. Sono nato a Novedrate, in provincia di Como, ma quando avevo 4 anni sono venuto a stare a Lentate, in Brianza e di lì non mi sono più mosso".
Difficoltà a inserirsi? "C’era parecchio razzismo, allora: non ancora verso i Meridionali, ma nei confronti dei Veneti. Facevo spesso a pugni…".
Imparò a difendersi... "Mio padre avrebbe voluto che imparassi a fare disegno meccanico, dovevo iscrivermi a una scuola serale a Seregno… ma trovai la scuola chiusa, la stavano ristrutturando, e mi affacciai a una palestra che c’era lì a fianco. Vidi i pugili, i sacchi, il ring: era la palestra dell’Accademia Pugilistica Seregnese".
Zanon si era innamorato… "Il direttore sportivo era Cesare Bagnoli, ex pugile di successo".
Non si fermò più. "Mettevo tutti ko, anche quelli più grandi… quando dovetti dire a mio padre che tiravo di boxe invece di andare a scuola, dovettero venire a casa nostra lo stesso Bagnoli e l’allenatore, gli spiegarono che ci sapevo fare, avevo talento… non fu semplice, mio padre diceva che con la boxe non avrei mai mangiato. Alla fine si convinse, convinto che quando avessi preso i primi pugni sul ring avrei mollato".
Non fu così: prese a macinare titoli e avversari. "E smisi di battermi per strada, quando mi provocavano, rispondevo: “siamo matti? Devo fare a pugni gratis?!”. E poi ormai in paese sapevano tutti che facevo il pugile".
La boxe è uno sport violento? "Il pugilato si fa su un ring, allenati, con un arbitro che controlla che non ci siano colpi bassi. Ho combattuto un’ottantina di match in carriera (fra i prof 36 incontri, 27 vinti, 6 persi, 3 pareggiati, ndr ) e non mi sono mai rotto il setto nasale. Le mie tre figlie, che hanno fatto basket ad alti livelli (serie A e A2), si sono rotte tutte il naso giocando".
Cosa si prova su un ring? "Sei da solo, nessuno ti aiuta o ti può difendere, impari a stare al mondo. È uno sport bellissimo, in cui alleni tutto, dal corpo alla mente".
Il modello? "Mohammed Ali, di lui ero innamorato sin da bambino, velocità, tecnica… racconto una cosa".
Prego. "Andai negli Stati Uniti a firmare il contratto per combattere proprio contro lui. Il film Rocky , quello con Sylvester Stallone, aveva appena vinto l’Oscar. Era il 1976. E Ali voleva trovare un pugile italiano con cui battersi".
Perché Lei? "Mi avevano visto combattere al Caesars Palace di Los Angeles, dove avevo affrontato Ken “Mandingo” Norton e Jerry Quarry, due pugili molto forti (il primo aveva battuto Ali!): e io ero stato molto apprezzato, anche se avevo perso…".
Torniamo ad Ali. "Dovevamo combattere a Seoul, per 8 giorni mi fecero girare New York, il battage era enorme, la gente urlava “Rocky Rocky” incitandomi, ho ancora i brividi quando ci penso".
Era lo sfidante perfetto. "Purtroppo l’incontro all’ultimo saltò. Avevo perso la mia occasione di battermi con quello che era il mio idolo…".
Però, sarebbe tornato al Caesars Palace il 3 febbraio 1980. "Dopo aver vinto il titolo europeo, i mio manager Umberto Branchini mi diede la notizia: ero stato scelto come sfidante del campione mondiale in carica, Larry Holmes!".
Il punto più alto della carriera. "Peccato che Holmes fosse di un altro pianeta, veniva da 32 vittorie consecutive, non riuscivo nemmeno a vedere partire i suoi colpi, mi ritrovavo al tappeto senza nemmeno accorgermi di come ci fossi finito. Non era particolarmente potente, ma terribilmente preciso".
Al quarto round venne atterrato tre volte, ma dimostrò grande coraggio. "Provai a reagire e riuscii ad aggiudicarmi il round successivo, ma alla fine dovetti arrendermi: fu comunque un’esperienza fantastica. Erano trascorsi 46 anni da quando un italiano (Primo Carnera, ndr ) aveva combattuto per un titolo mondiale dei pesi massimi. Con Holmes mantenni buoni rapporti, dopo la sconfitta mi invitò a cena".
Ve le date di santa ragione, ma alla fine vi abbracciate. "Perché ci rispettiamo e sappiamo i sacrifici che abbiamo fatto. Addirittura, ricordo che quando dovetti affrontare Quarry, visto che uno sparring partner per gli allenamenti costava 100 dollari a sessione, Ken Norton mi prestò i suoi".
Il pugile ha paura? "Deve averla sempre, solo un pazzo o un ubriaco non ce l’ha, significherebbe non aver rispetto. La paura inizia al momento del peso e finisce soltanto quando suona il primo gong".
Allora, svanisce tutto come per magia e si inizia a combattere.