DARIO CRIPPA
Cronaca

La vendetta dei Catari. L’agguato mortale nei boschi di Seveso al Santo inquisitore

Pietro da Verona venne ucciso da un sicario assoldato dalla setta brianzola. Ma l’assassino si pentì e in una chiesa è conservato il suo coltello a mezzaluna.

Pietro da Verona venne ucciso da un sicario assoldato dalla setta brianzola. Ma l’assassino si pentì e in una chiesa è conservato il suo coltello a mezzaluna.

Pietro da Verona venne ucciso da un sicario assoldato dalla setta brianzola. Ma l’assassino si pentì e in una chiesa è conservato il suo coltello a mezzaluna.

Era in cammino da ore. Era stanco, ma era ancora parecchia la strada da fare. Lui e frate Domenico avevano preso un percorso meno battuto e anche più lungo del solito, era l’unica possibilità per tenersi lontani da quei maledetti infedeli “assetati“ di sangue. Del suo sangue.

Lui, proprio non li sopportava. Quella pretesa che rasentava il fanatismo di essere gli unici a conoscere la vera fede, di essere i "puri" – così si definivano – quando secondo lui erano soprattutto soltanto dei volgari affaristi, stupidi bottegai del contado alla ricerca di facile potere. Nato da una famiglia catara, Pietro non poteva che conoscerli bene, era stato dei “loro“ anche se mai si era sentito davvero in sintonia con il loro modo di fare e con le loro credenze un po’ stravaganti, a suo modo di vedere. E aveva cambiato orizzonte dopo essere andato a studiare all’Università di Bologna.

Qui si era convinto di quale fosse la vera fede, certo non la loro, e aveva deciso di entrare a far parte dell’Ordine dei Frati Predicatori al tempo in cui Domenico di Guzmán, il loro fondatore, era ancora forte e vivente. E aveva abbracciato la missione di battersi contro tutte le eresie, i Catari in particolare, al tempo particolarmente attivi in Lombardia e dalle parti della Brianza e di Concorezzo, dove avevano uno dei loro centri di potere.

Lui li aveva messi in difficoltà un mucchio di volte, li aveva smascherati, e trascinati davanti al santo Tribunale della Chiesa, l’unica vera Chiesa santa, cattolica e apostolica. E loro per questo gliel’avevano giurata a morte. Ecco perché dopo aver lasciato il convento di Como, per raggiungere Milano prima del crepuscolo, frate Pietro e frate Domenico avevano deciso di prendere la vecchia strada canturina. Quello che Pietro Rosini, quarantotto anni, veronese di origine ma ormai trapiantato a Milano da tempo dove era diventato Inquisitore generale, però non immaginava, era che il suo destino fosse segnato.

Perché sulle sue tracce c’era un autentico cacciatore di teste. Un sicario spietato. Le cronache riportano il suo nome, Pietro Balsamo e anche il suo soprannome, che era “Carino” che poi ricorda un po’ – con licenza poetica quei personaggi dei moderni film un po’ hard-boiled che impersonano duri spietati tipo Scarface o Johnny il Bello. Conosciamo persino la cifra che era stata promessa al sicario ingaggiato per andare ad assassinare Pietro l’Inquisitore: 25 lire imperiali.

Ovviamente Carino era un serio professionista nella sua poco onorevole professione di killer e quindi accettò. Le cronache riportano anche il nome dei presunti mandanti che lo avrebbero ingaggiato: Manfredo Giacomo della Chiesa da Giussano, Guidetto de Sachella e Stefano Confalonieri da Agliate. Tutti brianzoli, perché come si diceva i Catari in Brianza, a Concorezzo, avevano il loro centro di massima diffusione.

Era anche stata stabilita una data precisa per il delitto: il 6 aprile. E infatti è il 6 aprile del 1252 che il killer raggiunge Pietro da Verona e l’uomo che lo accompagna, frate Domenico, nel bosco di Farga, al confine con Seveso. Conosciamo anche il nome di chi avrebbe fatto la “soffiata“ al sicario, tale Albertino Porro, detto il Migniffo o il Mancino, di Lentate. Che però all’ultimo, quando era giunto il momento di agire, se l’era svignata.

Il “Carino“ comunque non si era fatto scoraggiare. Uno contro due. Con un coltello a forma di mezzaluna, il Carino aveva spaccato il cranio di Pietro e lo aveva pugnalato al cuore. Anche Domenico era stato colpito, ma era sopravvissuto pur se gravemente ferito. Accompagnato alla foresteria del Monastero di Meda, ci sarebbe infatti morto dopo pochi giorni di agonia.

Il sicario non ebbe abbastanza tempo tuttavia per godersi i soldi guadagnati. Catturato poco dopo a Barlassina, fu portato a Milano. Non sappiamo esattamente quale fu il suo destino ma le cronache raccontano che uscito di prigione si sarebbe rifugiato a Forlì dove si sarebbe addirittura convertito tanto da venire poi addirittura proclamato Beato.

Il corpo di Pietro invece fu portato in trionfo a Milano, e qui fu sepolto nella Chiesa di Sant’Eustorgio. Quello stesso anno, sul luogo del martirio, gli Umiliati costruirono un ospizio in memoria di Pietro; l’anno successivo si avviò la costruzione di una chiesa. Il Santuario di San Pietro Martire, ancora oggi attivo e visitabile.

Il coltello usato per l’assassinio è tuttora custodito lì dentro, in una cripta costruita all’inizio del Novecento, all’interno di una teca che accoglie anche una reliquia di Carino da Balsamo. Il Bene, e il Male ricondotto al Bene. Pietro, l’inquisitore che trovò il martirio in Brianza, sarebbe stato proclamato santo, protettore dei domenicani, degli inquisitori, ma anche dei calzolai e dei commercianti di tessuti. Proprio l’ambiente in cui “pescavano“ a piene mani i propri adepti, quando erano forti, anche i Catari.