
Un soldato tornato dalle Gallie fece fortuna e divenne anche magistrato. Un secolo fa il Comune decise di ricordarlo con una intitolazione. ma oggi non ne esiste traccia e molti pensano si sia trattato di un errore.
C’è una piccola strada nell quartiere San Biagio, nel cuore della cosiddetta Zeguina, a due passi dal canale Villoresi. Un cartello ricorda come di prammatica il suo nome, via Gaio Sertorio. Sotto una breve didascalia con la data: II secolo. Nulla di più.
Il guaio – se così si può dire – è che non c’è monzese o quasi che conosca il perché di quel nome, visto che di personaggi noti dell’Antica Roma che si chiamino così non sembrano essercene, almeno stando ai ricordi di scuola o ai libri di storia antica più generici. Tanto che parecchi, anche bene informati di storia locale, negli anni hanno attribuito quella intitolazione a un mero errore formale.
Chi era dunque questo Sertorio, ritenuto così meritevole da meritare il nome di una strada tutta per sé e cosa c’entrava con la città di Monza?
Una ricerca più approfondita svela però che un Sertorio, anzi forse due, nella storia di questa città ci sarebbero. A cercar bene, si scopre infatti che esistono un Gaio Sertorio, giurista romano senza particolari meriti e poi un Sertorio Quinto, un militare, anche lui poco noto.
E allora? Allora proviamo a tornare indietro di un paio di millenni. A un altro Gaio Sertorio. Gaio Sertorio Tertullo.
Quest’ultimo aveva servito a lungo nin una legione. Si era battuto sui terreni gelati dell’antica Germania, in mezzo agli acquitrini e alle paludi a volte mefitiche di quella che secoli dopo sarebbe stata chiamata Francia.
Nelle sue vene scorreva sangue italico purissimo, dato che discendeva dalla Tribù Ufentina, originaria dell’Agro Pontino, non lontano da Roma.
Era figlio di tale Lucio Sertorio Auctus e di Decia Pusilla, e anche il fratello, Lucio Sertorio Nigro, aveva prestato servizio militare come lui nella medesima legione Con le insegne gloriose dell’Aquila romana aveva infatti varcato i confini al Nord della penisola tra le fila della prestigiosa XVI Legione, soprannominata la legione Gallica.
Con quei soldati aveva viaggiato, aveva superato le Alpi e si era guadagnato i suoi gradi. Da semplice ma fidato legionario - glielo mostrava il sangue versato in tante battaglie – in età ormai matura aveva preso congedo.
Si può individuare come data fondamentale nella vita del veterano Gaio Sertorio l’anno 44 dopo Cristo, quello che corrispose, quasi certamente, al primo anno di reintegrazione nella società civile dopo tanta vita militare.
Ed ecco l’aspetto che probabilmente gli valse l’onore di vedersi intitolare una strada secoli dopo: Gaio Sertorio è considerato il primo “cittadino monzese” del quale si possa tracciare una pur breve biografia.
Considerato che quando si era arruolato doveva avere un’età compresa fra tra i 18 e i 23 anni e che nella Legione si prestava servizio, salvo morte o ferite troppo gravi, per 25 anni, al suo arrivo in quella che sarebbe divenuta Monza (o forse al suo rientro, non è dato sapere) Gaio Sertorio doveva avere dunque all’incirca 45 anni. I commilitoni, che ormai conoscevano le sue qualità, si fidavano di lui, tanto che lo avevano nominato il loro “Curator”. Una carica questa che indicava il magistrato che faceva da referente per i cittadini romani, sia militari sia civili, stanziati all’estero, nel suo caso a Magonza, l’odierna Mainz, cittadina nella Germania centro-occidentale situata alla confluenza dei fiumi Meno e Reno, dove i Romani, dopo aver domato le tribù galliche, avevano stabilito il proprio accampamento ufficiale alcune decadi prima, all’incirca nel 38 avanti Cristo.
Ma che cosa avrebbe fatto un vecchio soldato (ai tempi dopo la trentina si era già considerati più che maturi) dopo il servizio militare? Ricostruiamo allora che Gaio Sertorio, una stabilitosi a Monza, si era unito in matrimonio con una liberta, una schiava affrancata, di nome Seconda. E che da lei aveva avuto due figli, Crescentino e Fausto.
Dato che Gaio Sertorio in Germania si era trovato a gestire i rapporti fra i soldati della Legione, gli indigeni e il governo centrale di Roma per una guarnigione che poteva arrivare sino ai 20mila uomini, quando si era congedato doveva aver messo via un bel gruzzoletto, compresi anche alcuni terreni di proprietà che avrebbero potuto garantirgli una rendita.
A Monza Gaio Sertorio potè permettersi infatti di far erigere ben due lapidi in marmo. Il sistema più in voga all’epoca fra ricchi e arricchiti, una sorta di status symbol utile per dimostrare l’importanza della propria famiglia. Cittadini Romani e “romanizzati” ci tenevano parecchio, soprattutto perché potevano permettersi di infilarci i nomi, proprio tutti, della propria famiglia.
La due lapidi in questione furono ritrovate dopo la sua demolizione nella chiesa di San Maurizio di Monza e mostrano di essere un ottimo esempio di un’area funeraria di qualità.
E benché diverse per dimensioni e per forma scrittoria, entrambe si riferiscono allo stesso gruppo di famiglia, per il quale indicano un unico spazio funerario comune.
Questa l’iscrizione, della lunghezza di 13 centimetri: “Gaio Sertorio Tertullo/figlio di Lucio, della tribù Oufentina/veterano della legione XVI/ responsabile dei cittadini Romani a Magonza”.
E poi: “Per Lucio Sertorio ‘Auctus’/ (suo) padre, e per Decia Pusilla/ (sua) madre e per Lucio Sertorio Nigro, figlio di Lucio, della tribù Oufentina/(suo) fratello, veterano della legione XVI/ e per Sertoria Seconda, liberta/ e moglie e/ per Gaio Sertorio Crescentino e per Gaio Sertorio Fausto, figli molto affettuosi. Ed ecco così il “primo“ monzese della storia.