Dai libri al bisturi "Così li ho fatti venire alla luce"

Le esperienze delle studentesse Giuditta e Sofia in prima linea tra corsia e sala operatoria

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Dall’università Bicocca al Lacor Hospital di Gulu, il tirocinio dei nuovi medici si fa in Uganda, alle prese con malaria e tante malattie sconosciute. Ne hanno parlato agli studenti del primo anno di Medicina dell’Università Bicocca, sede di Monza, Giuditta Pozzoli e Sofia Gibertoni, del quinto anno, dopo aver trascorso tre mesi, tra marzo e giugno, al Lacor Hospital di Gulu. "Mi sono imbattuta nella Fondazione Corti un po’ per caso, spulciando vecchie chat di studenti che avevano partecipato a progetti di mobilità internazionale – racconta GIuditta – Fin dal primo giorno i medici mi hanno coinvolta nelle loro attività quotidiane e mi hanno insegnato molto della storia e le patologie dei pazienti, così diverse dalle nostre. Ho trascorso il primo mese e mezzo nel reparto di Pediatria, molto grande (circa 100 letti) e sempre affollato, dai piccoli malati ricoverati con mamme e papà che portano cibo e procurano i farmaci".

La giornata comincia con una riunione con medici e infermieri per un confronto sul trattamento delle patologie, gestione dei pazienti, analisi di dati statistici, brevi seminari. Lo studente occidentale è messo a dura prova dai "mortality audit": constatazioni e commenti dei decessi della giornata precedente. "È assurdo pensare che in Italia molti di questi bambini non si sarebbero nemmeno ammalati o perlomeno sarebbero stati quasi sempre salvati – osserva Giuditta – Ricordo Richard, un neonato di un paio di settimane, morto a seguito di un’infezione da tossina botulinica per ingestione di miele. Nei primi giorni dopo il parto la mamma vedeva che il bambino faceva molta fatica ad attaccarsi al seno e aveva cominciato a nutrirlo con acqua, zucchero e miele. Nessuno l’aveva educata alla corretta gestione postnatale".

O ancora, Aaron, un bimbo con sindrome di Down affetto da cardiopatia congenita. Solo un intervento cardiochirurgico lontano avrebbe potuto salvarlo, un viaggio troppo costoso. "Uno dei grandi insegnamenti che l’Africa mi ha lasciato – conclude – è che la morte non è uno scandalo inaccettabile, ma è parte stessa della vita".

"Pensavo che avrei fatto una specialità medica clinica – le fa eco Sofia – Poi, un giorno a Lacor mi è stato chiesto di andare in sala operatoria. Io in Italia non avevo mai visto un’operazione chirurgica. All’improvviso mi sono ritrovata a fare da seconda operatrice durante un cesareo a un chirurgo che avrà avuto sì e no due anni in più di me. Quel giorno sono rimasta in sala per tre operazioni, una di fila all’altra, che hanno portato al mondo tre bambini. Un mese dopo non mi ero ancora stancata dell’adrenalina della sala operatoria. Ogni mattina mi svegliavo e l’idea di andare in ospedale non era mai stata così bella e completa. L’anno prossimo vorrei tornare a fare la tesi lì".

Cristina Bertolini