DARIO CRIPPA
Cronaca

"Un farmaco potrebbe salvarci dal Covid ma la burocrazia così ci sta uccidendo"

La battaglia di Beatrice Elerdini, giornalista monzese affetta da fibrosi cistica alle prese con i protocolli dell’AIFA

Beatrice Elerdini, 43 anni, giornalista, combatte per il nuovo farmaco

Monza, 24 marzo 2022 - La questione è drammaticamente semplice. C’è il Coronavirus, e ci sono persone che per un nonnulla, più di chiunque altro, rischiano di morirci. Ad esempio, le persone affette da Fibrosi cistica. Una malattia genetica terribile, mortale, che mozza il respiro e ha aspettative di vita molto critiche. Per intenderci, fino a 10 anni fa erano bassissime. Nel 1959, negli Stati Uniti l’età media di sopravvivenza dei bambini era di 6 mesi. Nel 2008 è di 37,4 anni. Nel 2007 in Canada di 47,7 anni. Lo dice Wikipedia. A meno che non subentrino virus come il SARS-CoV-2, appunto. Lì, allora, le cose si fanno decisamente peggiori. Ma la cosa scandalosa è che oltre alla patologia, chi vive in questa difficile situazione, si ritrova a combattere contro la burocrazia. Che nega al momento, a un fetta di pazienti con determinate mutazioni genetiche, l’utilizzo dell’unico farmaco che, ragionevolmente, potrebbe permette di affrontare il Covid con conseguenze meno gravi. Tra i tanti medicinali “sospesi” c’è infatti anche Kaftrio, un "modulatore del difetto genetico per le persone affette da fibrosi cistica, patologia che fino a 10 anni fa garantiva una vita media di appena 30 anni". Ne sa qualcosa e lo spiega bene una paziente monzese: si chiama Beatrice Elerdini, ha 43 anni, è una valida giornalista ed è affetta appunto da fibrosi cistica. E da casa sua, in cui è costretta da qualche settimana, prova a portare avanti quella che è una battaglia non soltanto per la sua vita e di tanti pazienti come lei, ma è soprattutto una battaglia di civiltà.

Ci spieghi.

"Oggi, grazie ai nuovi medicinali prodotti in esclusiva da Vertex Pharmaceuticals Incorporated, l’aspettativa di vita è aumentata significativamente, purtroppo però, la burocrazia italiana sta impedendo che la vita si allunghi equamente per tutti i malati di fibrosi cistica".

Cioè?

"AIFA (l’Agenzia italiana del farmaco) ha approvato, con una determina del 5 luglio 2021, la rimborsabilità di Kaftrio “soltanto per una parte delle mutazioni genetiche esistenti e ‘responsive’ al farmaco“. Eppure qualche mese prima, il 28 aprile 2021, EMA (Agenzia europea per i medicinali) aveva approvato l’uso di questo farmaco in combinazione con Ivacaftor per il trattamento di pazienti con fibrosi cistica di età pari o superiore a 12 anni con almeno una mutazione F508del nel gene CFTR, indipendentemente dalla tipologia della seconda. Tale indicazione di fatto include la maggior parte dei pazienti italiani".

Manca ancora l’ultimo passaggio, dunque.

"Ovvero l’approvazione da parte di AIFA alla rimborsabilità del farmaco per le mutazioni rimaste inizialmente escluse, un passaggio che sarebbe dovuto avvenire in concomitanza con la determina dello scorso anno".

E invece ad oggi, ancora non è pervenuta alcuna risposta.

"Per le persone come noi, attendere un anno senza cura, può significare anche finire in lista di trapianto bipolmonare, con esiti ancora piuttosto incerti, oppure anche morire".

Kaftrio unica speranza?

"Sì. Per chi ha la fibrosi cistica ed è adulto, rappresenta l’unica speranza. La luce in fondo al tunnel, la boccata d’ossigeno che manca da troppo tempo".

Lei ha preso il Coronavirus. Come è andata?

"All’alba del 2022 è entrato anche in casa mia. Nonostante i vaccini e nonostante tutte le attenzioni per evitarlo, il Coronavirus si è fatto strada dentro di me e ha travolto i miei polmoni stanchi. Le gravi infezioni croniche, la scarsa capacità respiratoria hanno offerto un terreno fertile affinché il virus potesse fare di me ciò che uno tsunami fa con un Paese quando lo travolge all’improvviso: entrare violentemente, distruggere tutto ciò che trova e soffocare».

Come l’ha affrontato?

"Nonostante le innumerevoli difficoltà incontrate per accedere alle cure precoci, previste dal protocollo AIFA, nonostante l’assenza dei medici di base, delle USCA fantasma, sono ancora qua. Dopo gli antivirali, gli antibiotici in dosaggi da cavallo, e poi ancora le flebo di antibiotici e il cortisone, ora sto per liberarmi della maggior parte dei farmaci, per tornare a vivere. O almeno a riabilitarmi".

La speranza – si diceva – risiede in un semplice farmaco che può fare la differenza.

"Soltanto un farmaco vorrei ora, quello che potrebbe permettermi di riprendere a respirare a pieni polmoni, quello che se l’avessi preso prima, forse, non avrebbe permesso al Covid di aggredirmi così violentemente. La tripla molecola non è l’ennesimo fuoco fatuo, come è stato per molti altri farmaci che ho assunto nel corso dei miei 43 anni. È il miracolo e a dirlo è stata persino la Comunità Scientifica. Oggi è la pillola che apre le porte del futuro a chi, fino a ieri, ha vissuto cogliendo ogni attimo, sapendo bene che poteva essere l’ultimo".

Avverto molto amarezza…

"Il Covid ha portato via la vita a milioni di persone nel mondo, ha strappato nonni, mamme, papà, fratelli, ai cari rimasti qui, senza nemmeno concedere loro un ultimo abbraccio, e ora che sembra aver perso la sua ferocia, si sta trasformando in un “catafalco burocratico” che subdolamente si insinua tra le pieghe di vite già pesantemente provate da altre patologie. A concederglielo sono proprio le Istituzioni, quelle che dovrebbero cogliere l’urgenza di certe approvazioni".

È arrabbiata?

"Queste parole di rabbia mista a disillusione sono mie, ma sono sicura riflettono il pensiero di migliaia di altri malati di fibrosi cistica. È un dovere morale per me rendere nota questa situazione. Ora, l’Italia che vanta da sempre una delle migliori Sanità del mondo, si faccia avanti e confermi il suo valore. Restituisca con una firma, ossigeno a chi, da sempre, lo cerca in ogni respiro".