Antonini, auto fantasma e rabbia reale della gente

L’emergenza coronavirus ha ulteriormente allungato i tempi del giudizio. Il comitato è tornato a protestare davanti al Tribunale chiedendo risposte

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di Stefania Totaro

"Sono tre anni che aspettiamo, c’è gente che non arriva alla fine del mese per continuare a pagare le rate del finanziamento per un’auto che non ha mai visto". Una delegazione delle presunte vittime della concessionaria dei fratelli Antonini a Varedo ieri è tornata ancora a manifestare, questa volta davanti al Tribunale di Monza, per chiedere giustizia.

Il fascicolo che li riguarda è fermo alla Procura di Monza, che ha chiuso l’inchiesta per le auto vendute ma mai consegnate ai clienti. Un fascicolo molto complesso perché sono oltre un centinaio le denunce presentate dagli ignari clienti dell’autosalone, che si erano rivolti anche a Striscia la notizia per portare alla ribalta delle cronache la vicenda e che già da molti mesi continuano a protestare con picchetti, cortei e manifestazioni, l’ultima anche davanti alla stessa Procura, perché la giustizia faccia il suo corso.

Dopo la notifica della conclusione delle indagini, i 9 imputati hanno presentato memorie o chiesto di rendere interrogatorio, ma il lockdown di sei mesi causato dall’emergenza coronavirus ha di molto rallentato i tempi per giungere alla richiesta di rinvio a giudizio. E il resto l’ha fatto la molteplicità delle posizioni da vagliare.

Al momento di truffa devono rispondere i fratelli Giuseppe e Mauro Antonini, che erano stati arrestati nel gennaio 2019 dalla GdF di Seveso per bancarotta fraudolenta e appropriazione indebita, reati per cui sono stati condannati in primo grado al Tribunale di Monza a 4 anni di reclusione e al risarcimento dei danni al fallimento della società dell’autosalone, con una provvisionale di 150 mila euro.

Dell’accusa di bancarotta deve ora rispondere l’amministratore di diritto della società, mentre per l’accusa di truffa sono accusati, in concorso con i fratelli Antonini, anche 5 venditori che quindi, secondo la pubblica accusa, erano consapevoli che dietro la vendita delle vetture ci sarebbe stato un raggiro. Infine la conclusione delle indagini riguarda anche un’ipotesi di riciclaggio di denaro in capo alla moglie di uno dei duei Antonini.