Milano, 14 maggio 2017 - La notizia, rimbalzata fra le righe di una recente ricerca, per una volta suonava positiva: la spending review continua e, anzi,ha iniziato adaggredire la spesa. Quello, cioè, che da anni si chiedeva e ci aspettava, anche per risanare i conti pubblici. Bello, bellissimo. Troppo per essere vero. E infatti, come la ricerca - redatta dall’Ufficio studi della Cgia - subito evidenzia, nonostante i tagli la spesa pubblica continua ad aumentare. Dietro la strategia messa in atto dal governo, cioè, si nasconde l’immancabile rovescio della medaglia. La sforbiciata data a fatica ricade sulle amministrazioni locali che, permantenere i servizi,devono rivalersi sui cittadini. Insomma, la solita beffa. Resa ancor più antipatica dal fatto che il rigore, da qualche tempo a questa parte, «non è maivenutomeno», comepuntualizza l’analisi. Qualche numero per chiarire meglio. Nell’attuale legislatura i tagli alla spesa pubblica hanno toccato la cifra di 30,4 miliardi di euro. Le uscite correnti al netto degli interessi sul debito, però, non hanno smesso di crescere. E sono infatti a +31,8 miliardi
Le ragioni sono diverse. E tra le principali ci sono sicuramente i costi pensionistici e quelli delle prestazioni sociali. Anche in ragione delle misure varate in assenza di una sufficiente copertura finanziaria. Quello che prevedono gli analisti è che 16,4 miliardi di riduzione dell’indebitamento calcolato nel 2013 graveranno direttamente sulle Regioni e sugli Enti locali. Ancora una volta chiamati a sostenere il sacrificio maggiore. Garantendo, numeri alla mano, il 54,1 cento dei 30,4 miliardi di euro di risparmi previsti entro la fine dell’anno. E questo nonostante il divieto imposto dal governo, negli ultimi due anni, di aumentare le tasse locali. Obbligo che si è tradotto spesso nel taglio di servizi al cittadino o nell’aumento delle tariffe. Mossa furba, quest’ultima. Utile a non aumentare la pressione fiscale e a chiedere comunque balzelli a imprese e famiglie. Da qui l’aumento del 20 per cento delle bollette dell’acqua, quello dell’8,4 per la raccolta dei rifiuti e l’aumento del 5,1 per cento dei costi d’iscrizione alle scuole secondarie, solo per citare alcuni dei rincari.
Anche se i più ottimisti ritengono che lunga crisi iniziata nel 2008 sia finalmente alle spalle e che il Paese abbia ingranato la marcia per ripartire, non è così che si può garantire competitività alle imprese e possibilità di incentivare i consumi alle famiglie. Ovvio che serve una ricetta diversa. Che è quella poi stilata da tempo. E che prevede di rimodulare la spending review perché questa possa tradursi in un taglio degli sprechi, delle inefficienze, dei costi della malaburocrazia e anche della politica. Risparmio non è tagliare i servizi; non è togliere risorse alla sanità e alla scuola o alla manutenzione delle strade. Basta guardare ai costi delle due Camere e della macchina burocratica per capire da dove partire. Evitando, magari, di lasciar passare invano altri anni e sacrifici. sandro.neri@ilgiorno.net