
Fernando Torres (Alive)
Milano, 30 agosto 2014 - Magari non dirà nella sua prima conferenza stampa, a differenza di qualche altro suo più illustre collega, di essere milanista sin dalla nascita e di aver sognato sin da bambino i colori rossoneri. No, non lo farà. Ma Fernando Torres potrà esordire, alla “Troisi-maniera” con un «scusate il ritardo». Già, perché l’ex bambino prodigio sembra proprio il classico predestinato. Quello che prima o poi avrebbe vinto tutto (Mondiali compresi) e quello che prima o poi sarebbe sbarcato a Milanello. Lo dice la storia, lo confermano le cronache dei giornali. Fra il 2003 e il 2006 più di una volta l’attaccante è stato ad un passo dal Milan. L’ex ds dei rossoneri Ariedo Braida aveva a cominciato a seguirlo prestissimo, cercò di portarlo a Milanello poco più che maggiorenne e ci riprovò qualche anno dopo per sostituire nientedimeno che un certo Shevchenko. Ma per motivi di prezzo (richieste che partirono da 15 e arrivarono ai 40 milioni) non se n’è mai fatto nulla. Eppure il giovanotto aveva il pedigree da campionissimo.
Nato il 20 marzo del 1984 a Fuenlabrada, alle porte di Madrid, El Niño cominciò a muovere i primissimi passi nel Rayo, ma all’età di 11 anni superò brillantemente un provino con l’Atletico Madrid ed entrò a far parte del club per il quale ha sempre fatto il tifo. Dal 1995 al 2000 effettuò tutta la trafila delle giovanili con la casacca dei colchoneros e nel maggio del 2001, all’epoca della Segunda Division, debuttò in prima squadra contro il Leganés, diventando - con i suoi 17 anni - il più giovane giocatore della ultracentenaria storia dei rojiblancos. Sette giorni dopo, contro l’Albacete, assaporò la prima gioia del gol con la maglia dell’Atletico.
Nei cinque anni seguenti, con la fascia di capitano al braccio sin dall’età di 19 anni, Torres si consacrò definitivamente all’ombra del “Vicente Calderon”, realizzando nella Liga 75 reti in 174 partite. Il bomber con la faccia da bambino però voleva vincere qualcosa, e nel luglio del 2007 lasciò quella che era stata la sua famiglia per dodici stagioni per trasferirsi al Liverpool, che lo prelevò versando nelle casse della società del Manzanarre 20 milioni di sterline oltre al cartellino di Luis Garcia. Fernando confermò da subito l’innato fiuto del gol anche in Premier League diventando subito un beniamino della Kop, realizzando nel complesso 33 reti, di cui 24 in campionato e 6 al primo approccio con la Champions League. Nelle due annate successive andò a segno altre 39 volte con la maglia dei Reds, con la quale iniziò anche la stagione 2010-11, timbrando il cartellino in 9 occasioni nel girone d’andata. Finché, nel gennaio del 2011, non arrivò la chiamata del Chelsea. Per strappare il fuoriclasse iberico ai rossi del Merseyside, Roman Abramovich investì l’astronomica cifra di 50 milioni di sterline, ignaro del fatto che da quel momento sarebbe iniziata la parabola discendente del giocatore. “Talento grezzo fuori discussione, ma per qualcuno quasi un personaggio comico, capace di sia di gol stupendi che errori incredibili”. Sid Lowe sul Guardian presentava così Torres al pubblico inglese nel luglio del 2007 con un ritratto tutto sommato equilibrato del bambino prodigio ma è difficile ricordare un attaccante che abbia avuto un calo così drastico come Fernando negli ultimi anni. Un calo che però va spiegato un po’ con gli infortuni subìti e un po’ con la concorrenza (Drogba). Ferguson, nell’autobiografia uscita da pochissimo, ha descritto Torres come “benedetto da una scaltrezza grandiosa” e dotato di “una furbizia ai limiti del machiavellico. He had a touch of evil.” E’ quel che aspetta il popolo milanista per dimenticare velocemente Balotelli.