Dan Peterson, cuore Olimpia nel segno del 36: “Ci davano per retrocessi, abbiamo vinto tutto”

Domenica 2 aprile verrà simbolicamente ritirata la maglia col numero anno di nascita del coach e della società. Il passaggio di consegne con Messina. “Io ho vinto la seconda stella, lui vincerà la terza”

Dan Peterson con la sciarpa dell'Olimpia Milano

Dan Peterson con la sciarpa dell'Olimpia Milano

Milano - La storia dell'Olimpia Milano e Dan Peterson è splendidamente legata a doppio filo sin dalla nascita. 9 gennaio 1936 il giorno in cui nasce l'Olimpia (la storia è un po' più complessa) e in cui a Evanston nasce il coach che l'ha portata a dominare l'Europa praticamente per un decennio. Dal 1978 al 1987 lungo percorso che l'ha portato nella leggenda. Ora l'Olimpia vuole onorarlo ancora di più con un inusuale, ma proprio per questo significativo, ritiro della maglia. Domenica 2 aprile, in occasione del match dell’Olimpia contro Venezia, ci sarà la cerimonia. Cosa ha pensato quando l'Olimpia le ha proposto questo evento? "Sono davvero rimasto piacevolmente sorpreso e onorato, ero già nella hall of fame della società, più che soddisfatto, ma questo gesto è davvero bellissimo. Uno non penso che possa succedere anche ad un coach, è un'iniziativa molto carina nei miei confronti. La apprezzo tantissimo. Essere al fianco di giocatori che hanno fatto la storia, anche a livello umano. E poi è davvero particolare la storia del numero 36". Sembra un legame scritto nel destino, ma quando era negli Usa aveva mai sentito parlare dell'Olimpia? "In realtà una volta sola, quando l'allora Simmenthal aveva firmato Bill Bradley per la Coppa dei Campioni nel 1966. Quello fu il primo flash in cui sentii parlare di Olimpia. Rubini aveva fatto un colpaccio, Bradley aveva vinto il premio di miglior giocatore di college pochi mesi prima". Qual è il momento più bello della sua storia con l'Olimpia? “Ne scelgo tre: la soddisfazione del primo anno con la ‘Banda Bassotti’ al mio arrivo a Milano nel '78-79. Ci davano tutti per retrocessi a inizio stagione, arrivammo invece fino alla finale per il titolo, riempiendo sempre il palazzetto, un ricordo indelebile. Poi la rimonta con l'Aris Salonicco, ha fatto la storia, ci ha permesso di non venire eliminati al primo turno recuperando 31 punti di scarto. Poi questo si collega a quello che è potuto venire dopo, grazie a quella vittoria, ossia la conquista del Grande Slam. Fu il coronamento di 9 anni di lavoro, ha fatto il fiocco su un bellissimo pacchetto. Ricordo anche quando nella decisiva gara 3 per il titolo con Caserta recuperammo di nuovo dal -19 dopo 16'”. C'è stato un momento in cui ha dubitato di andare avanti? "Certamente, sono stati momenti di grande sofferenza. Penso alla doppia eliminazione in semifinale nell'80 e nell'81 in cui sembrava che non riuscissimo più a crescere e invece da lì vincemmo il 20esimo scudetto. Oppure il biennio '83-'84 in cui arrivammo sempre secondi, sia in campionato che nelle coppe. Sembrava una maledizione. Poi arrivarono 3 scudetti di fila". La scelta di ritirarsi a 51 anni è stata particolare. Con il senno di poi è stata la cosa giusta? "No, non lo è stato. Però avevamo vinto tutto, eravamo arrivati al massimo che si poteva ottenere in tutte le competizioni, ai tempi scelsi così. Volevo comunque fare in modo che la società dopo di me avesse ancora qualcosa, non lasciare terra bruciata, ci ho sempre tenuto in ogni esperienza che ho fatto. Infatti con il grande Casalini poi arrivarono altri trofei importanti”. Al di là dei soliti grandi nomi, c'è un giocatore di quel periodo a cui è particolarmente legato? "Vittorio Gallinari e Renzo Bariviera sicuramente, grandi giocatori di sacrificio, campioni veri, molto intelligenti, delle rocce. Poi ricordo ad uno ad uno ogni giocatore che ha fatto il decimo uomo (ai tempi si andava a referto in 10, ndr). Mario Governa, Tullio De Piccoli, Marco Lamperti, Rinaldo Innocenti, Antonio Dalla Monica, Paolo Friz, Andrea Blasi, Sergio Biaggi, Ezio Riva. Senza di loro non avremmo costruito tutto quel che abbiamo fatto. Erano i miei eroi ogni giorno, mi rivedevo in loro, sapevo benissimo quanto il loro ruolo fosse importante. C'è una partita che ha cambiato il corso della storia? "Penso di sì, ed è una sconfitta. Quel -45 che patimmo a Pesaro nel 1981 fu il nostro carburante per tutta la stagione per iniziare finalmente a vincere. Il destino volle che l'avversario in finale fosse proprio Pesaro. La voglia di rivalsa era infinita, vincemmo gara 1 in trasferta e gara 2 in casa in rimonta. Così arrivò il mio primo scudetto milanese" Nella storia recente dell'Olimpia c'è qualcosa che rivede della sua squadra? "Il basket è cambiato tanto, non si possono sovrapporre le situazioni. Questo, però, non vale per lo spirito. Vedo Kyle Hines e penso a Dino Meneghin, a quanto entrambi siano disposti a sacrificarsi per vincere. E' questo che fa la differenza". L'Olimpia ha vissuto una stagione tra alti e bassi, cosa ne pensa? "Che se l'Eurolega fosse iniziata due mesi fa l'Olimpia sarebbe prima. E' incredibile la serie infinita di infortuni che ci sono stati. Mi piace del gruppo che in ogni vittoria c'è quasi sempre un eroe diverso. La terza stella è possibile, non facile, la squadra è provata dal grande dispendio di energie e dal dover ogni volta cambiare aspetto. Lo auguro a Ettore Messina. Ho vinto la seconda stella, sarei contento se lui vincesse la terza".

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