Gianluca Galliani: “Vi racconto il mio calcio tutto rock e passione”

Il figlio dell’ad del Monza, tifoso innamoratissimo col cuore diviso a metà: “Rigorosamente biancorossonero”

Gianluca Galliani con papà Adriano

Gianluca Galliani con papà Adriano

Il calcio e la musica mi accompagnano da anni, faccio delle mie passioni un lavoro per non lavorare mai". Sorride Gianluca Galliani, tifoso innamoratissimo col cuore diviso a metà (“rigorosamente biancorossonero”) stregato dal pallone grazie a papà Adriano che lo accompagnò per la prima volta allo stadio dopo la vittoria degli azzurri ai Mondiali del 1982. Gianluca aveva appena 6 anni, si accomodò sugli spalti del vecchio “Sada“ per vedere il Monza appena tornato in B e da allora, col primo amore calcistico, nacque una grande passione. Oggi quel bambino-tifoso è diventato un manager di successo, però ogni benedetto weekend è lì, ombra inseparabile del papà oggi ad del Monza. E’ stato così anche domenica sera, quando Adriano e Gianluca Galliani sono arrivati insieme all’U-Power Stadium per la sfida più sentita, quella fra brianzoli e rossoneri. "Sì, ma siamo rimasti vicini per un tempo - scherza Gianluca -. Alla fine della prima frazione papà è andata via, si vinceva ma si soffriva pure. Ha preferito chiudersi in casa di mia zia e si è visto lì il resto della partita”.

Non è la prima volta che improvvisamente suo padre sparisce dalla tribuna...

"Vero, è fatto così. Col Milan succedeva di meno, era quasi sempre seduto accanto al presidente Silvio Berlusconi. Ma da quando è a Monza ci sono occasioni in cui preferisce star da solo, anche andando a pregare al Duomo... Diciamo poi che quella di domenica scorsa non era una partita come le altre: era il primo Monza-Milan senza la presenza fisica del presidente..."

Quanto manca oggi a lei e alla sua famiglia una figura come Berlusconi?

"È un’assenza che pesa. Ma il retaggio che ha lasciato rimane: oggi il Monza è una squadra con molti italiani, ha un enorme senso di appartenenza, un capitano come Pessina nato in Brianza. Insomma, tutto ciò che sognava il presidente e che mio padre è riuscito a realizzare".

Più contento per la vittoria del Monza o più deluso per la sconfitta del Milan?

"Il mio cuore è biancorossonero. Ma sono più felice per la vittoria del Monza in una partita in cui le emozioni superano il risultato. C’era solo da godersi la giornata. Lo sport è soprattutto emozioni, non tutto e non sempre si riconduce all’esito del match".

Pillole di saggezza...

"Sono gli insegnamenti di mio padre, da quel primo giorno con lui allo stadio nel 1982. Vale nel calcio come nella vita di tutti i giorni".

Visto dall’esterno lei appare soprattutto come l’inseparabile figura del figlio premuroso accanto al papà dirigente-tifoso.

"Ha ragione, ma poi nella vita di tutti i giorni faccio altro. Sono editore nel campo musicale con Rock Tv e Hip hop Tv, abbiamo colto in anticipo il successo del rap, anche se sono e resterò un rockettaro: suonavo il basso in una band con cui abbiamo inciso tre album".

E poi è pure un imprenditore... ovviamente con il pallone in mezzo

"Non sono un dirigente, vero, ma senza il calcio non posso stare, ne ho fatto anche un lavoro, non solo una passione. Ho una start up che si chiama Noisefeed e che raccoglie lo storico degli infortuni dei calciatori. Lavoriamo quotidianamente con i club di tutto il mondo, passo la giornata a parlare con tanti dirigenti. E poi il tema è attuale, i calendari sono strapieni e gli infortuni aumentano. Ve lo dice uno che ha avuto due infortuni gravi fra calcio e basket".

Insomma, alla fine si torna sempre al primo amore...

"Seguendo passo dopo passo mio padre non poteva che essere la tentazione più forte. Abbiamo entrambi una passione smodata per il calcio. Però mi creda, questo combustibile della passione lo metto in tutto quel che faccio. E’ questo il più bell’insegnamento che ho imparato da lui, il modo di lavorare. Papà è un esempio di dedizione in quel che fa e come lui mi appassiono".

Parlavamo di incroci del cuore. Il Milan...

"Era retrocesso, ma io già avevo simpatie per i rossoneri. Quando il Monza era in trasferta io andavo a San Siro. Poi, nel 1986, mio padre è entrato nel Milan, e da allora ho vissuto trent’anni indimenticabili. Anche se i colori biancorossi non li ho mai abbandonati".

I tifosi rossoneri invece rischiano di abbandonare San Siro... la sua idea?

"Bisogna essere realisti. Il calcio ha avuto crescita di fatturati, per competere c’è bisogno di stadi nuovi e più grandi. Poi c’è la parte sentimentale della questione, perché anche io sono legatissimo a San Siro, ma comprendo gli sforzi e la necessità di avvalersi di uno stadio moderno. Io dico che conta soprattutto la passione per le squadre: il Monza è l’esempio del romanticismo del calcio. Il calcio è dei tifosi, non dimentichiamo".

E torniamo a domenica sera. Ancora una volta il Monza si è esaltato al cospetto di una “big“. Non sono più coincidenze...

"Merito del concetto di “squadra“, che gioca la serie A per il secondo anno. Abbiamo già battuto l’Inter, il Milan, la Juventus e due volte il Napoli. Il Monza è una piccola grande societa. E siccome la filosofia è quella berlusconiana, in campo puoi battere le grandi. Mi faccia fare i complimenti a Palladino, un allenatore straordinario, un’intuizione di mio padre e del presidente Berlusconi".

I tifosi sono sempre più ambiziosi e sognano l’Europa. Ma la città in generale che risposta ha dato?

"Domenica scorsa il colpo d’occhio era notevole, lo stadio era “sold out“. Forse c’è un problema di capienza ma i biglietti venduti sono la totalità. Ricordo quanta gente andava al Sada, e ancor meno si recava al Brianteo in anni complicati. Continuo a vedere grande entusiasmo attorno al gruppo".

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