Pirandello al tempo dei social: "L'identità non esiste, le maschere hanno vinto"

Al Teatro San Babila di Milano "Il fu Mattia Pascal" riveduto in chiave moderna da Giorgio Marchesi

Giorgio Marchesi in scena

Giorgio Marchesi in scena

Milano - Se per vivere serve morire, nascondere il vero sé dietro alle nuove maschere dei profili social, una vita da morti che senso ha? Pirandello ai giorni nostri avrebbe analizzato con occhio acuto e curioso il proliferare di identità per cui il web è terreno fertilissimo. Un disturbo ossessivo-compulsivo che ricorda già per assonanza il suo "Uno, nessuno e centomila", ma non ne ha né l’eleganza e né la magia della penna e di sicuro nemmeno la profondità psicologica dei personaggi.

Giorgio Marchesi, attore e regista in "Il fu Mattia Pascal", di scena al Teatro San Babila di Milano il 4 e il 5 marzo, ha colto questo parallelismo e l’ha trasformato nella chiave per portare in scena un grande classico della letteratura del Novecento, immergendolo dalla testa ai piedi nella contemporaneità. Il testo è quello pirandelliano, asciugato ma fedele. Ne risulta un teatro scanzonato, cinico, contaminazione di parole e musica. Scena irrealistica, drammaturgia che segue un ritmo dall’house al jazz, un linguaggio che si rivolge ai più giovani. "Il fu Mattia Pascal" di Marchesi è coinvolgente e attualissimo. Parla di un’esistenza che vuole giocarsi la carta del rinascere, chi non vorrebbe una seconda possibilità sull’onda del bisogno condiviso di ritornare a vita nuova, dopo gli ultimi anni di una pandemia che ci ha tenuti a lungo dietro le maschere dei nostri schermi?

Quanto bisogno c’è di spettacolo dal vivo dopo i vari lockdown?

"Vivo lo stesso desiderio della gente di incontrarsi e il teatro ha saputo interpretare questa esigenza. Ha preso forse più consapevolezza della necessità di andare incontro al pubblico anche con proposte che l’hanno fatto uscire dall’autoreferenzialità e scommettere su linguaggi diversi".

Che linguaggio parla questo spettacolo?

"Abbiamo giocato a far emergere quel lato ironico del dramma di Pirandello per avvicinarlo alle nuove generazioni, anche attraverso la musica dal vivo. Ne è uscito un qualcosa che all’inizio disorienta, ma poi coinvolge, come ha sempre fatto con le scolaresche che abbiamo incontrato finora. Stropicciare un testo classico per renderlo più attuale è stato il nostro obiettivo fin da subito".

Il tema di costruirsi una nuova identità è forse il più attuale di tutti?

"Mattia crea un nuovo sé, ma poi torna alla vecchia identità. Nella società contemporanea, con i social, tutti o quasi hanno almeno due identità: una reale e una virtuale. In quella virtuale poi i filtri sono ulteriori maschere che si indossano perché non ci si piace. Si inventano lavori che non si fanno, posti in cui non si è mai stati, si scappa da un’esistenza e ci si rifugia in un’altra, artificiosa. Pirandello aveva immaginato la frammentazione dell’identità e tutto ciò che ne consegue molto prima che accadesse. Qui sta la sua estrema modernità".

 

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