Il rimpianto di Pupo: “Al Cremlino avrei cantato la pace”

Niente Festival della canzone patriottica in Russia, in compenso prosegue il tour di ’Su di noi... la nostra storia’, il 15 e il 16 maggio al teatro Manzoni di Milano

Pupo

Pupo

Milano – Russia o non Russia? Nel dubbio, meglio evitare. Specie quando dagli insulti si passa alle minacce. Motivo che ha fatto desistere Pupo dal partecipare al Festival della canzone patriottica in Cremlino. Ipotesi che negli scorsi giorni aveva scatenato l’inferno online. In compenso prosegue il tour di ’Su di noi... la nostra storia’, il 15 e il 16 maggio al teatro Manzoni. Un po’ concerto, un po’ il racconto di una vita stravissuta. Che ormai va per i settanta.

Pupo, il tour è un successone.

"Non me lo sarei mai aspettato, anche se avevo avuto una bellissima reazione a teatro con “Il grande croupier“, dove raccontavo del gioco d’azzardo. Ma lì provenivo da “Affari tuoi“, 9 milioni di spettatori. Qui condivido la mia storia. Ho avuto una vita più emozionante di tante canzoni".

Cosa racconta sul palco?

"Che si può uscire vincenti dall’impossibile. Alla fine è la parabola di un sopravvissuto".

Sopravvissuto a cosa?

"Fin da ragazzino ho sempre avuto una grande dipendenza dal gioco,in certi momenti mi ha bruciato il cervello e la creatività. E una dipendenza altrettanto ingestibile dal sesso, cosa drammatica perché metti a rischio te stesso. Oltretutto mi sono ritrovato miliardario a 23 anni, io, il figliolo del postino, completamente impreparato. Di solito da queste situazioni non si torna indietro. Invece la vita mi ha restituito tutto: credibilità, soldi, successo. Per me rimane un mistero".

C’è un modo per svoltare?

"No, puoi solo vivere, sperando di non ammalarti. Se io fossi morto presto sarei stato ricordato come un ragazzetto cretino e invece oggi la mia vita sembra speciale, non posso che esserne grato. Per altro tutto questo mi ha reso immune, libero da giudizi e condizionamenti".

Come ha vissuto allora la polemica sulla Russia?

"Bene. Non avrei fatto nulla di male, avrei presentato una canzone sulla pace. Credo sia compito della cultura farsi strada nei meandri per aprire una riflessione, portare il proprio misero contributo per fermare lo spargimento di sangue. Ma viviamo un periodo folle".

Cosa è successo?

"Si è passati dalle offese alle minacce e io sento la responsabilità di tutelare la mia famiglia, gli amici, i collaboratori. C’è chi crede di essere nel giusto e per questo di poter vietare un ballo, una canzone o di leggere Dostoevskij. Ma così si alimenta solo odio e superficialità. Nelle analisi che si fanno mi pare ad esempio che si conosca molto poco l’Europa dell’Est mentre io la frequento da cinquant’anni. Questo è un conflitto di famiglia, in cui bisognerebbe porgere l’altra guancia. Dividere fra buoni e cattivi è solo una banalizzazione".

Lei effettivamente non pare intimorito dai giudizi.

"Non me ne curo. Anche quando racconto la mia vita. Ho capito che rovesciare sugli altri le angosce ti libera. Sono un po’ figlio di buona donna".

Il momento più buio?

"Il tentato suicidio sul viadotto della Panoramica, fra Emilia e Toscana, di ritorno dal Casinò di Venezia. Un camion mi passò accanto e mi diede uno scossone, risvegliandomi. Subito dopo arrivò la chiamata di Boncompagni per condurre Domenica In con Edwige Fenech".

Il più bello?

"Anche se non gioco da vent’anni rimango un giocatore, non mi esalto quindi per le vittorie, le considero quasi scontate, ho quel tipo di arroganza. Mentre attendo sempre il baratro che si nasconde dietro la sconfitta. Ma ora sono più sereno. E mi sento anche molto amato".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro