
Il rapper Nayt
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Condannato a vivere. Nel nuovo album "Doom" Nayt guarda alla sua esistenza come una scelta senza opzioni, perché "noi non scegliamo né di vivere, né come, o quando, morire e nemmeno di chi innamorarci". Un concetto che il rapper di Isernia, al secolo William MezzanotteWilliam M , 27 anni martedì prossimo, si propone di approfondire oggi pomeriggio alla Feltrinelli di Piazza Duomo (ore 18.30) intervistato dal giornalista Andrea Laffranchi e dall’influencer Denise D’Angelilli, o dueditanelcuore come si fa chiamare su Instagram. Un viaggio tra le tematiche del disco incentrato sul tema "Quando la musica ti porta a fondo: comunicare le emozioni tra social e canali tradizionali". - Nayt, "Doom" riparte da dove finisce "Mood" oppure, al di là dell’inversione di consonanti, è qualcosa di completamente diverso? "Riparto dal livello d’introspezione introdotto nel mio rap da ‘Mood’. Anche se provo ad andare più in profondità, per sviscerare certi concetti, certe paure, per provare a conoscermi meglio".
Lei è molto rapido, tecnico. "In questo disco ci sono pezzi ‘tecnici’ come ‘Mortale’ e ‘Opss’, ma anche cose quali ‘La mia noia’ in cui tutto è molto meno criptico e più rilassato. Oppure altri come ‘Tutto ok’ in cui il rap neppure ci sta. Tutte anime che fanno parte di me". Quattro collaborazioni, ma essenziali: Gemitaiz, Frenetik, Orang3 e Mattak. "Scelta fisiologia, il disco è mio e dentro ci sto io. Faccio tantissime collaborazioni nei dischi degli altri, ma nei miei seleziono al massimo". Sulla copertina si catapulta in un quadro di Francisco Goya. "Si tratta de ‘La sepoltura della sardina’, quadro in cui è rappresentata una festa di fine carnevale in cui, secondo la tradizione spagnola, ci si regalava un giorno di pazzia prima della quaresima. Ad attrarmi sono i tanti riferimenti alla morte, ai mostri, alla guerra. Insomma, folla e follia. Mi è sembrato giusto, quindi, prendere spunto dalla avventurosa vita del grande pittore aragonese e sovrapporci un po’ la mia".
Nei suoi quadri Goya ha rappresentato i conflitti dell’uomo mettendo a nudo i suoi vizi, i suoi demoni, le sue paure. "La mia paura più grande è la propensione naturale che abbiamo alla vita e all’amore perché questo infatti ci rende vulnerabili, esponendoci all’ignoto, la cosa che più ci attrae di più e più ci fa paura". Parliamo di «Non voglio fare cose normali». Perché pochi mesi fa ha sentito il bisogno di raccontarsi in un’autobiografia? "Durante il lockdown eravamo tutti barricati in casa, così ho sfruttato il tanto tempo che avevo a disposizione per scrivere e mostrare a quelli che mi seguono lati di me che, magari, non conoscevano".