Piazza Affari, il simbolo in vendita: "Dalle grida al web, tutto cambia"

Incertezza post Brexit, London stock exchange cede Borsa Italiana. Il pilastro della finanza al bivio

Un'immagine storica delle contrattazioni a Piazza Affari

Immagini storiche delle contrattazioni Al centro, l’ex agente Tito Rainis

Milano, 10 agosto 2020 - Il film “Wall Street“, con Michael Douglas nei panni dello squalo della finanza Gordon Gekko, era uscito da pochi anni, facendo sognare gli Yuppie. La Borsa di Milano, nell’imponente sede di Palazzo Mezzanotte in piazza Affari, nel cuore della città, si preparava a una svolta epocale, con la privatizzazione che nel 1998 portò alla nascita di Borsa Italiana Spa, dal 2007 fusa con il London stock exchange (Lse). Un matrimonio Milano-Londra che potrebbe essere al capolinea. Borsa Italiana, infatti, è tornata sul mercato. La holding che la controlla ha avviato discussioni che potrebbero sfociare nella potenziale cessione di Borsa Italiana o della quota in Mts, la piattaforma telematica riservata ai titoli di Stato. Fra i possibili compratori Euronext, la società che gestisce le piazze di Parigi e altre città, e Deutsche Boerse, che controlla la Borsa di Francoforte. Erano in campo anche nel 2007, quanto Lse vinse la partita fra i due contendenti e soffiò il mercato italiano ai francesi e ai tedeschi. All’orizzonte, però, c’è anche l’ipotesi nazionalizzazione, attraverso l’esercizio del Golden Power, lo strumento che garantisce potere di veto al Governo su asset strategici.  Un risiko con al centro il controllo del tempio della finanza, che potrebbe cambiare bandiera o finire in mano a «cordate nazionali». Ultima tappa di una storia lunga più di due secoli. Correva l’anno 1808 quando a Milano nacque la borsa valori, la nona più antica del mondo. La posta in gioco non è da poco: da gennaio ha perso circa 100 miliardi di capitalizzazione per colpa del Covid, ma è ancora un asset da 530 miliardi di euro, circa il 30% del Pil italiano. 

Per farsi largo nella sala delle grida serviva una voce potente, unita a rapidità di pensiero e di azione che, oggi come cinquant’anni fa, sono doti fondamentali per avere successo in Borsa. Tito Rainis, quando era un giovane operatore a piazza Affari, lavorava con a fianco un assistente che aveva il compito di fare la punta alle matite fino a quando "ho pensato di usare quelle con la mina continua". Adesso, alla soglia degli 80 anni, esperto “navigatore“ dei mercati finanziari che fu anche presidente nazionale dei procuratori di Borsa, guarda a una rivoluzione lunga mezzo secolo. "Non ho nostalgia – racconta – le tecnologie evolvono".

Borsa Italiana ora potrebbe cambiare proprietà. Come giudica questo nuovo passaggio? "L’Iter di trasformazione in Spa della Borsa di Milano col nome di Borsa italiana è avvenuto dopo la partenza delle Società di intermediazione mobiliare, negli anni ‘90, e ha avuto come azionisti banche e agenti di cambio. È stata ceduta al Lse a un prezzo molto allettante. Oggi a fronte della Brexit ci si chiede quali possano essere gli sviluppi. Saremo obbligati a imparare il tedesco? Non sono piccoli problemi, ma dovranno essere risolti da Consob e Banca d’Italia, non solo dal Governo con la Golden power". Quando è iniziata la sua avventura a Palazzo Mezzanotte? "Nei primi anni ‘70 ho iniziato a lavorare con un agente di cambio, avviando un percorso entusiasmante, in un crogiolo della vita economica italiana. All’epoca si faceva tutto a mano: la tecnologia era la nostra voce nella sala delle grida, dove avvenivano le contrattazioni. C’era la stanza di compensazione, il “giornalone” dove venivano segnate tutte le operazioni. Chi sbagliava prendeva certe sgridate. A volte capitava di stare al lavoro fino alle 3 del mattino". Come iniziava la sua giornata? "Iniziava in ufficio, prendendo contatti con i clienti e con le banche. Bisognava essere costantemente informati,noi usavamo i dispacci dell’agenzia Reuters, per poter prevedere le oscillazioni dei mercati. Poi si andava in Borsa. Ricordo il rumore delle voci, simile a quello di un reattore, che aumentava all’alzarsi dei prezzi. Nascevano discussioni, ma si cercava di arrivare a un “gentlemen’s agreement”. Chi faceva il furbo finiva per essere tagliato fuori. La reputazione è un valore enorme". Come è avvenuto il cambiamento? "I cambiamenti sono stati graduali, dall’arrivo dei primi computer alla totale digitalizzazione. Dall’asta gridata si è passati all’asta telematica. Sono stati passaggi anche traumatici, molti non si sono adeguati. Io ho sempre avuto la voglia di imparare. Ho girato le Borse di tutto il mondo. Negli anni ‘80 ho trascorso due mesi a Chicago per studiare futures e derivati, mi sono accorto che lì erano 20 anni avanti. Nel 1987 è uscito il film “Wall Street”, che ha avvicinato molti giovani alla finanza, dando però un’idea distorta". A piazza Affari si è fatta anche la storia della finanza milanese. Chi ricorda dei suoi protagonisti? "Ricordo Giovanni Bazoli, anche perché negli anni ‘80 ho seguito le vicende legate al Banco Ambrosiano. Tra gli altri Enrico Cuccia, perché era un genio". Poi, nel 2020, è arrivato il coronavirus. Che cosa accadrà? "La finanza va avanti lo stesso. Il problema è quando il sistema viene disturbato da una inefficienza nella macchina economica, in questo caso provocata dal Covid. La volatilità è dovuta all’incertezza nel futuro".  

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