Sofi Tukker al Fabrique: "Vi faremo scatenare"

Dall’incontro al sodalizio fino al palco del Grammy, il duo dance di New York in concerto a Milano

Sofi Tukker

Sofi Tukker

Milano, 8 dicembre 2019 - Lei è una tedesca cittadina del mondo con un’adolescenza spesa in cinque paesi diversi, mentre lui un americano ex-promessa dell’NBA trasformata da una malattia in un alchimista della musica elettronica. Lei è Sophie Hawley-Weld, lui Tucker Halpern e stasera sono in scena al Fabrique con il marchio che li ha portati fin sul palco del Grammy: Sofi Tukker. La loro “Best friend”, infatti, è stata scelta dalla Apple per la pubblicità dell’iPhone X e questo ne ha moltiplicato esponenzialmente le quotazioni (il pezzo è entrato nella top 50 di 45 paesi) spalancando loro le porte di numerosi Festival a cominciare da Coachella. L’ultimo ep è “Dancing on the people” e ha già prodotto 5 singoli. Ad aprire la serata sarà la dj dell’Oregon Lp Giobbi.

Sofi, chi ha trovato l’altro? «Ci siamo conosciuti cinque anni fa alla Brown University di Providence, nel Rhode Island. Io stavo interpretando canzoni bossa accompagnata da un trio jazz, mentre Tucker avrebbe dovuto tenere il suo dj set dopo la nostra esibizione; deve aver trovato quel nostro show bello ma un po’ noioso se è vero che, una volta in scena, ha iniziato a remixare diverse canzoni che avevamo appena eseguito. L’ho trovato divertente e così il giorno dopo ci siamo ritrovati per iniziare a collaborare. Da allora non ci siamo più fermati».

Da dove arriva questa sua passione per la bossa? «Per me, da ragazzina, la musica brasiliana era un’ossessione, tant’è che ho imparato il portoghese per poter cantare correttamente le mie canzoni preferite. Poi ho vissuto lì sei mesi e mi sono innamorata pure della cultura che c’è dietro a quei pezzi».

Oltre a quella sudamericana, apprezza pure la canzone italiana? «Sì, perché ho frequentato per due anni l’United World College of the Adriatic di Duino, in Friuli, e quindi un po’ della vostra musica l’ho assimilata».

Tukker avete altri legami con l’Italia? «“Drinkee”, il pezzo con cui è iniziata la nostra storia (oltre 67,8 milioni e mezzo di stream - nda), l’abbiamo eseguito dal vivo per la prima volta al PalaLottomatica di Roma in occasione del compleanno di Radio Dee Jay. Fino ad allora ci eravamo esibiti quasi solo nei club e ritrovarci davanti tutto quel pubblico fu una scarica di adrenalina che ci ricordiamo ogni sera al momento di andare in scena».

In “Everybody needs a kiss” avete lavorato pure con Benny Benassi. «L’abbiamo conosciuto in occasione di un suo dj set a Brooklin e siamo diventati amici. Da lì il passo a collaborare è stato breve».

Si direbbe che per la vostra musica amiate ambientazioni sorprendenti come quella del video di “Swing”. «Quel video l’abbiamo girato nell’incredibile Centro Ceremonial Otomí, vicino Tolunca, in Messico. Quando si tratta di girare ricorriamo spesso ad un amico, Charles Todd di Scheme Engines, che è molto bravo ad “abbellire” le nostre idee».

È sempre stato così? «No, assolutamente. Ai tempi del primo video “Drinkee” odiavamo il set. Pensavamo, infatti, solo alla musica reputando tutto il resto accessorio. Col tempo, però, siamo stati sedotti dalle grandi opportunità narrative che offre dalla telecamera».

Com’è lo spettacolo che portate al Fabrique? «La performance è molto energica. Balliamo e facciamo ballare parecchio». Prego: vestirsi comodi, quindi.

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