
L’autoscatto di Martina Levato
Milano - Andata e ritorno, dall’inferno, per chi può lasciarselo alle spalle. Un pugno nello stomaco le 866 fotografie scattate "dal di dentro", per la prima volta da da detenuti e agenti penitenziari dei quattro istituti circondariali di Milano: Opera, Bollate, San Vittore e Beccaria. In mostra da oggi al PAC (sino al 6 novembre, ingresso libero), organizzata con l’associazione di volontariato RI-Scatti. "Per me si va tra la perduta gente", il titolo. Così è. Un lavoro immane, che accende i riflettori su un luogo complesso, raccontandone la realtà attraverso un punto di vista inedito, dalla parte di chi vive il carcere, non banale, creativo, attraverso l’arte contemporanea.

Undici mesi di corso, cento partecipanti (di cui 60 detenuti e 40 agenti di polizia) oltre 50 mila scatti realizzati (scelti 860), "un percorso mai affrontato da nessun altro", racconta Amedeo Novelli, vicepresidente di Ri-Scatti. "Sorprende anche l’alta qualità artistica di tante foto. Il segreto? Aver instaurato con loro un dialogo, una forte intesa". Per farlo hanno lavorato gomito a gomito con detenuti e agenti, "sono andati in crisi parametri e riferimenti, ho dovuto rivedere tante cose di me stesso, è difficile capire, il carcere è un mondo sconosciuto", ammette Diego Sileo, curatore del PAC. Tra le foto scelte, alcune di Martina ("Il male esiste"), detenuta a San Vittore perché protagonista con l’allora compagno degli agguati della “coppia dell’acido“, mai abbandonata dai genitori che appaiono negli scatti. "Guai a non aver nessuno fuori che continua ad amarti", fa notare Novelli. È una delle paure più forti, confessano i detenuti. Di essere respinti soprattutto dai figli, una volta fuori. Tutte le foto e il catalogo sono in vendita (30 euro senza e 50 con la cornice) e l’intero ricavato servirà a finanziare interventi architettonici per migliorare la qualità di vita nelle carceri, progetto gestito da qualche anno dal dipartimento di architettura del Politecnico insieme al dipartimento del Design. I detenuti hanno avuto a disposizione le macchine fotografiche nei reparti e nelle celle (da restituire ogni sera), mentre gli agenti hanno potuto fare i loro scatti scatti migliori durante gli orari di lavoro.

Perché in questo lungo racconto ci sono loro, l’altra metà del carcere, gli agenti della polizia penitenziaria. "Sin da subito è apparso interessante coinvolgerli nel progetto - raccontano gli organizzatori - spesso sono bistrattati, mal giudicati, inghiottiti dal vortice di frasi fatte e pregiudizi". Ma non è un lavoro facile, "fuori e dentro, tutti i giorni, dentro i corridoi, l’ordinaria battitura di sbarre, le chiavi che girano, l’apertura e la chiusura dei blindi, il giro di conta, i turni notturni....le corse in tribunale". Tutto nel nome del rigore, cercando di intuire e prevenire ogni possibile rischio che si cela dietro ogni movimento. Sandra, Emanuela e Roberto, uno degli agenti "storici" di Bollate, firmano scatti che potrebbero essere ospitati in riviste. Foto artistiche per "raccontare le vite degli altri" ma anche le loro, a contatto con chi deve essere aiutato a "salvarsi dalla loro stessa perduta vita". «Dobbiamo dare una seconda possibilità, un riscatto a chi ha sbagliato". Completa la mostra la Project Room Laboratorio Carcere, sul lavoro di ricerca svolto dal Politecnico, e una videoinstallazione realizzata selezionando in un’ora e mezza 25 ore di interviste ai detenuti. "Ne sono orgogliosi". E oggi all’inaugurazione (ore 17,30 con il ministro Cartabia e il sindaco Sala),qualcuno, con il permesso premio, ci sarà fra il pubblico. A prendersi i meritati applausi.