Heroes, l’omaggio al “Duca Bianco” di Paolo Fresu

La star, che ha calcato i palchi più prestigiosi, in lockdown vive un momento felice in famiglia e lavora al nuovo progetto

Paolo Fresu

Paolo Fresu

Milano - Una star che, nonostante abbia calcato i palchi più prestigiosi di tutto il mondo, conserva ancora quella naturalezza, entuasiasmo e rispetto per le piccole cose e per la vita, è alquanto raro. Paolo Fresu, fuoriclasse a livello internazionale del jazz, vanta una lunga e fortunata carriera, costellata da incisioni, premi ed esperienze in vari generi musicali. La magia della sua tromba evoca una profondità d’animo libera da ogni convenzione sociale. Ha inciso oltre 450 dischi di cui 90 solo suoi, ha lavorato a progetti collaborando tra gli altri con Ornella Vanoni, Alice, Gurtu, Schüller, Negramaro, Stadio. Vive in tre città, Parigi, Bologna e a Berchidda (Sassari), sua terra natale. Il 10 febbraio ha compiuto 60 anni. E commenta: "Con la pandemia, è come aver compiuto 120 anni".

Come vive questo periodo di emergenza sanitaria? "È comunque un momento positivo, perchè mi ha permesso di avere più tempo per stare in famiglia, anche se mi mancano i viaggi".

Per il compleanno è uscito un cofanetto di tre album, «P6OLO FR3SU» e ha registrato il concerto «Musica da lettura» per il suo canale Youtube. "Ho fatto un triplo disco che ho registrato, con la mia etichetta Tǔk Music, tra ottobre e dicembre a distanza, con musicisti da tutto il mondo. Contiene due nuovi album oltre alla ristampa di un disco ormai introvabile uscito nel 2001. E poi “Heroes”, omaggio a David Bowie. Infine, il concerto alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna".

Com’è nato il progetto sul ‘Duca Bianco’? "Mi era stato commissionato dal Comune di Monsummano Terme - paese della Toscana - dove la star partecipò cinquant’anni fa ad un concorso canoro in cui non vinse".

A cosa sta lavorando? "A un progetto legato allo Zecchino d’Oro, alle canzoni dei bambini, con Cristina Zavalloni, bravissima cantante. Abbiamo coinvolto Fonoprint, lo studio storico di Lucio Dalla, Claudio Stanghellini, videomaker, quartetto d’archi e musicisti".

Berghidda ogni anno diventa popolare grazie al suo Festivale di Jazz... "“Time in Jazz” è nato nel 1988, abbiamo raggiunto 35mila persone. Stiamo preparando la 34esima edizione. Lo scorso anno è andato bene, 50 concerti in 18 comuni".

Ricordi della sua infanzia? "Sono figlio di un pastore, amavo la campagna, ero circondato dalla natura, pecore, mucche, galline, maiali. La mia grande passione per la musica derivava dalla banda musicale dove ho iniziato a suonare. Intorno ai 10 anni ho preso lezioni di musica. A casa, mio fratello aveva una tromba che non usava più. Il mio sogno era quella di poterla toccare. I miei la mettevano nella parte alta della libreria perchè temevano la rompessi".

Lei dice che la musica ha un odore... "Per lubrificare i pistoni dello strumento, si metteva un olio come quello che si usava nelle macchine da cucire. La tromba veniva posata nella custodia nera in legno coperta da un velluto rosso intriso di olio e quando la aprivo sentivo l’odore acre, ma molto invitante. Ecco, la musica è l’odore di quell’olio".

Quando capì che sarebbe diventata la sua professione? "Quando i miei concittadini mi chiedevano dove ero stato e quando sarei ripartito. Presi coscienza, attraverso lo specchio degli altri, di aver fatto il salto".

Lei è molto legato a Milano, dove spesso suona. "Il primo giorno al mitico Capolinea, era come fossi a New York. I ricordi sono intensi, ho suonato nei teatri più importanti, dalla Scala all’Elfo, ho visto nascere il Blue Note. A Milano mi sento a casa".

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