
I Negrita (Newpress)
Milano, 10 luglio 2018 - Un disco d'emergenza. «Per noi ‘Desert Yacht Club’ è stato innanzitutto un disco salvifico» ha ammesso ieri Paolo «Pau» Bruni in redazione al Giorno, affiancato da Enrico «Drigo» Salvi e da Cesare «Mac» Petricich, parlando del tour che sta portando i Negrita in giro per l’Italia con tappa pure in Piazza della Loggia, a Brescia, il 18 luglio. «È un lavoro un po’ diverso dai precedenti e sappiamo che, in certe occasioni, bisogna lasciare al pubblico un po’ di tempo per entrare dentro ad una certa filosofia musicale. L’altra sera il concerto di Legnano è stata una bella ‘legnata’, con 5mila persona invasate che avevano voglia solo di fare festa».
Qual è la formula?
«È un album che non si basa esclusivamente sul “sound”, ma anche su quello che siamo come persone; fuori ‘anziane’ e dentro bambine. Ci siamo raccontati molto, provando a capire chi siamo con delle chitarre in mano a cinquant’anni».
Per guardarvi dentro, ve ne siete andati in giro con un furgone in terre di frontiera.
«Sì, in Arizona e California. Quasi ogni nostro disco è nato alla luce di un viaggio importante. Ai tempi de ‘L’uomo sogna di volare’ l’abbiamo fatto i Sudamerica, ‘XXX’ in Louisiana, ‘Dannato vivere’ a El Paso, tra New Mexico e Texas dove la piantagione in cui si trovava lo studio si affacciava proprio su quel Rio Grande che demarca il confine tra Usa e Messico. Per capire il clima in cui abbiamo lavorato, basta pensare che la figura del proprietario sarebbe stata quella a cui Quentin Tarantino s’è ispirato per ‘Kill Bill’. Ricordiamo che circolava per la proprietà a cavallo impugnando una Colt lunga così».
Nell’album c’è una canzone intitolata «Milano stanotte» che riprende l’immagine un po’ più glamour e patinata della città.
«In passato abbiamo scritto molto di Sud, ma stavolta l’esigenza era dedicare un testo alla metropoli che ci ha adottato fin da quando, nel ’94, pubblicammo il nostro primo album. E di raccontarla nella sua dimensione più affascinante (e consona alle nostre frequentazioni): la notte. Per noi che veniamo da una città di provincia come Arezzo, Milano è la città dove vivere cere particolari emozioni. Nel ’94 era la capitale del lavoro e del movimento, poi, con la crisi, è forse quella che ha subito di più il contraccolpo, ma ora è la prima a rinascere».
Arezzo, però, non l’avete lasciata mai.
«Per un gruppo come il nostro, sempre a rischio litigata, la provincia è protettiva; perché unisce, creandoti attorno una micro-famiglia compatta. Come dimostra pure questo album, arrivato al termine di un periodo molto, molto, controverso».
Nel 2003 avete buttato via l’occasione di Sanremo. Perché?
«Perché, abbandonati dal nostro batterista, ci sentivamo un po’ in crisi e abbiamo accettato di andare al Festival con un pezzo scarso come ‘Tonight’. Avevamo ‘Magnolia’ in canna, ma non lo facemmo sentire né al direttore della nostra casa discografica, né a Baudo per la paura di diventare ‘nazionalpopolari’. Così preferimmo arrivare terzultimi all’Ariston e poi ritrovare poi ‘Magnolia’ fra le hit dell’estate, vincendo di fatto il nostro Sanremo in differita. Oggi che a Sanremo ci sta di tutto, invece, non ci saremmo fatti tutti quei problemi».