
Libri a confronto di Antonio Calabrò
Milano, 6 settembre 2014 - Rileggere l'Italia. Attraverso la sua cultura popolare e le avanguardie letterarie. O lo sport. Le canzoni. Il design e il “made in Italy” che piace al mondo. E magari usare, come chiave interpretativa del cambiamento, la bella frase di Dino Gavina, designer degli anni 50 e 60: “Moderno è ciò che è degno di diventare antico… moderno è lo spirito dei tempi, ma la forma vera non può che essere classica”. La chiave sta anche negli scritti di uno dei nostri principali intellettuali, Edmondo Berselli (morto a nemmeno cinquant’anni, nel 2010) e di cui Vita e Pensiero pubblica “Meglio stare a casa”, una raccolta di sei saggi “su cultura, luoghi comuni e cattolicesimo”, con prefazione di Lorenzo Ornaghi e postfazione di Aldo Grasso.
Sofisticata cultura, quella di Berselli (ottima conoscenza della sociologia di Max Weber e della Scuola di Francoforte e dei grandi testi di politica ed economia). E una straordinaria capacità di ibridare “alto” e basso”, con competenza sullo sport (“il più mancino dei tiri” di Mariolino Corso) e le canzoni di Mina e Battisti, il romanzo popolare e “l’economia giusta”. Un lavoro tutt’altro che snob, ma attento a capire e spiegare le ragioni dei successi delle culture di massa: “Se vogliamo riprendere la discussione sull’industria culturale, faccio umilmente notare che il sottoscritto sta dalla parte di Monicelli, Gassman, Totò, Mastroianni, Ferribotte e Capannelle”. Con stile pop, la raccolta dei suoi scritti, pubblicata da Mondadori, si chiama “Quel gran pezzo dell’Italia”. Da rileggere con attenzione e gran divertimento.
Buon esercizio anche riguardare la nostra letteratura, quella del “Gruppo 63”, che archivia il neorealismo e cerca una migliore rappresentazione della modernità, come si legge nell’omonimo volume di Bompiani che racchiude l’antologia degli autori, curata da Nanni Balestrini e Alfredo Giuliani (con i testi, tra i tanti, di Anceschi e Arbasino, Eco e Manganelli, Perriera e Ripellino, Sanguineti e Testa) e la “critica e teoria”, a cura di Renato Barilli e Angelo Guglielmi. E scoprire quanta attualità ci sia ancora tra quei testi di teatro, poesia e letteratura.
Oppure, ritrovarsi tra le canzoni ironiche, surreali e poeticissime di Rino Gaetano, grazie alle pagine di Bruno Mautone per L’Argo Libro, “La tragica scomparsa di un eroe”, sorridendo da contemporanei sulla capacità di filare di Berta e l’irriverenza di Gianna. Ecco i nessi tra moderno e antico, dunque tra innovazione e radici di memoria.
Come testimonia la “Breve storia del design italiano” scritta da Matteo Vercelloni per Carocci: ci sono le opere dei maestri (Castiglioni, Magistretti, Munari, Mari, Ponti, Zanuso, Scarpa, Mendini, Rossi, Sottsass, etc.) e l’esperienza dell’art direction dei Lissoni, Citterio e De Lucchi, degli Astori di Driade e dei Gismondi e de Bevilacqua di Artemide.
E c’è una “varietà espressiva”, cui contribuisce anche la radicalità del progetto di grandi designer internazionali, a cominciare da Philippe Starck. Sino ai giorni nostri, segnati dal permanere della centralità internazionale di Milano e del miglior made in Italy. Si rinnovano progetto e industria. Ci si confronta con le nuove tecnologie digitali e le “stampanti 3D”. E il design italiano così continua a vivere. Permanenza. E metamorfosi. Per costruire la storia di domani.