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Klezmerson, gli ebrei del Messico suonano Zorn

Gli strumenti sono liberi e conseguenti, dal dobro alla chitarra jarana e huapango, i gruppi mariachi e la musica popolare messicana, jazz e afro-beat di MARCO MANGIAROTTI

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Milano, 11 novembre 2015 Altra chicca, altro regalo. “Aperitivo in Concerto” porta domenica al Teatro Manzoni di Milano (ore 11) Klezmerson, straordinaria contaminazione fra tradizione yddish e Messico, inteso come subcontinente latino, seconda scelta del direttore artistico Gianni Morelenbaum Gualberto. Un’altra scoperta colta e curiosa, drama, teatro, klezmer e caribe, arie mediorientali e gitane. Un tamponamento di diaspore e spore impazzite. Gli strumenti sono liberi e conseguenti, dal dobro alla chitarra jarana e huapango, i gruppi mariachi e la musica popolare messicana, jazz e afro-beat. Un fantasmagorico esempio delle nuove frontiere della una Diaspora meno nota di quella nordamericana. Gli ebrei, ci ricorda Gualberto, giungono in Messico, per quanto nell’apparente veste di Marranos obbligati alla conversione al cattolicesimo, a partire dal 1519.

Un’altra ondata migratoria incrementerà la popolazione di origine ebraica subito dopo la Prima Guerra Mondiale, con il crollo dell’Impero Ottomano. Fra gli ebrei messicani, il compositore Daniel Catán e il leggendario violinista Henryk Szeryng. John Zorn ha scritto per loro, atto d’amore e di stima, “Amon”in Book of Angels, parte del repertorio milanese. Sestetto, spesso allargato, segue l’idea del violista, pianista e compositore Benjamin Shwartz: una sintesi folle e virtuosa tra le radici ebraiche e le immense ciudades messicane, alla periferia del conosciuto. Suonano tromba, trombone, flauto, violoncello, oud, sassofono, clarinetto, viola, piano, organo, chitarre di varie dimensioni, cordofoni (la leona e la jarana huasteca, piccola cinque corde). Ogni tipo di percussioni.

di MARCO MANGIAROTTI