
L’articolo del Giorno
Milano, 26 aprile 2018 - «Voglio davvero superare me stesso quando canterò per i ragazzi italiani. Io e i miei Experience faremo scintille!». Jimi Hendrix atterrò all’aeroporto di Milano Malpensa intorno alle 10 del 23 maggio 1968 con un volo Twa, in ritardo di oltre due ore. Nel pomeriggio avrebbe dovuto suonare in un primo set al Piper Club ma l’attrezzatura era ancora bloccata alla Dogana di Linate. Il pubblico era in delirio. Aspettò il “turno” della sera. Il locale milanese scoppiava di gente. In centinaia rimasero fuori. Ragazzi amanti del rock e assetati di novità, racconta chi c’era per il primo e unico tour in Italia che portò il “rivoluzionario della musica” anche a Roma e Bologna in tre date una dietro l’altra. Il diavolo nero, “il negro che suona la chitarra con i denti” (come lo ribattezzarono i giornali dell’epoca) suonò Killing Floor, Stone Free, Fire, Hey Joe, I Don’t Live Today, Foxy Lady, Red House, Manic Depression, Purple Haze e finì il concerto con Wild Thing: «Noi suoniamo a volume molto alto perché il pubblico possa sentire anche fisicamente la musica. Noi facciamo musica dura che picchi forte sull’anima in modo da aprirla». Hendrix «spalancò una finestra sulle musiche, la sua era una scrittura che non si esauriva col suono ma andava oltre», le parole di Enzo Gentile, storico musicale che insieme a Roberto Crema, collezionista hendrixiano, ha appena scritto un libro dedicato al tour di Jimi in Italia. “Hendrix ‘68 - The italian experience” (edizioni Jaca Book) è una raccolta - con prefazione di Carlo Verdone - di foto inedite, documenti e testimonianze di decine di spettatori che hanno assistito a «quella visita di marziani che scendono diritti tra le nostre case e avvampano con le loro musiche, sconvolgendo i templi altrimenti battuti e presidiati dai soliti noti.
Era l’Italia dei musicarelli, del Festival di Sanremo e di Canzonissima, del Disco per l’estate e del Cantagiro, della hit parade, guidata, in quello scorcio di tarda primavera, da Antoine (La tramontana), Patty Pravo (La bambola)». Un libro (da oggi nelle librerie) che con tutto il suo patrimonio diventerà anche una mostra dal 16 maggio al 3 giugno alla Triennale di Milano. Per evidenti ragioni anagrafiche «a quel concerto non ci sono andato – il rimpianto di Gentile –, ma dopo aver visto il film su Woodstock rimasi infatuato da Hendrix e quando ho scoperto il giacimento che Roberto aveva raccolto nel tempo ci siamo decisi a dare risposta alla passione». «È il risultato della ricerca di una vita – confessa Crema –. E oggi la sua musica è ancora ovunque, oggi certi assoli se non c’era lui ce li saremmo scordati». La sua casa è un piccolo museo sul più grande chitarrista della storia del rock: autografi, una libreria sconfinata di dischi, un «vasettino che Jimi aveva a casa sua» e pure «alcuni nastri totalmente inediti, un peccato che non li facciano uscire». Manca, Jimi. A poterselo trovare davanti «non gli direi nulla, aspetterei che prendesse la chitarra e iniziasse a suonare», confessa Roberto. Perché lui era «verità ed emozione». Perché «ha insegnato a molta gente come amare la musica e farne un mestiere». E poi «gli chiederei di non morire».