ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

Jake La Furia ha ancora “Fame” del vecchio rap: “La trap e TikTok hanno trasformato il genere in musica da suonerie”

Dopo il successo a X-Factor e la reunion dei Club Dogo, il nuovo album che rievoca i fasti della ’golden age’. “Le accuse ai testi? Accadeva pure col rock”

In primo piano Jake La Furia, alias Francesco Vigorelli, 46 anni il 25 febbraio. Con lui Night Skinny, produttore di ’Fame’ il nuovo album del rapper milanese

In primo piano Jake La Furia, alias Francesco Vigorelli, 46 anni il 25 febbraio. Con lui Night Skinny, produttore di ’Fame’ il nuovo album del rapper milanese

“L’altro giorno ho visto due articoli di giornale, quello sopra diceva ‘Giorgia Meloni indagata, nessun passo indietro’ mentre quello sotto ‘Emis Killa indagato, faccio un passo indietro’, credo basti questo a fornire un’immagine a fuoco del nostro Paese”, racconta Jake La Furia togliendo subito dal fuoco la castagna arroventata dell’amico indagato. D’altronde ci si trova per parlare del suo nuovo album “Fame” e il rapper milanese, all’anagrafe Francesco Vigorelli, classe ’79, pensa che Sanremo, con le sue polemiche, non possa fagocitarsi pure quello. Meglio, quindi, esaurire subito l’argomento. “Penso che Emis (con cui nel 2020 ha inciso l’album ‘17’, ndr) abbia rinunciato all’Ariston per non sentirsi chiedere di continuo la stessa cosa”.

Il Festival non è mai stato tra le sue opzioni.

“No, non fa per me. I rapper quando vanno a Sanremo rinunciano al loro lato più duro perché diventano parte di una kermesse per famiglie. Non nascondo di esserci rimasto un po’ male a sentire Conti dire che sì, in gara ci sono dei rapper, ma portano tutti messaggi positivi. Come se, per essere lì, ci si debba uniformare a qualcosa”.

Non l’hanno chiamata neppure per i duetti?

“Per la serata delle cover ho ricevuto gl’inviti sia di Emis Killa che dei Coma_Cose, ma alla fine ho risposto picche. Preferisco restarmene a casa, anche perché è fuori di dubbio che Sanremo possa andare avanti benissimo anche senza di me”.

Rap sul banco degli accusati.

“La polemica sul rap è in fondo la stessa che si sono portati dietro il rock’n roll, i videogiochi, il cinema. Come dire che chi ascolta la trap si droga, chi gioca a Gta fa le rapine o chi guarda i film d’azione va poi in giro a dare coltellate? A mio avviso non è così, perché quella è una responsabilità delle famiglie e della scuola. Vero che, dove mancano certi strumenti, qualcuno possa rimanere influenzato, ma sono casi minimi”.

Da cosa nasce questa incomunicabilità?

“Penso che tutto derivi dallo scontro di due mondi che non si vogliono capire e dalla scelta di non analizzare il rap, limitandosi a censurare il suo linguaggio violento senza badare a quel che c’è dietro, ovvero i riferimenti, le metafore, i molteplici livelli di lettura di molti suoi testi. Insomma, da un lato una generazione mainstream che non vuol andare in profondità e dall’altra una urban a cui, probabilmente, non interessa essere capita. E quando si gioca la carta Sanremo - visto che nessuno ti impone alcunché - in alcuni casi può scattare il compromesso, o la sudditanza psicologica, di portare un brano pop per ottenere visibilità senza urtare le coscienze più di tanto”.

Pure la qualità della musica lascia un po’ a desiderare.

“Nell’ultimo decennio si è un po’ standardizzata. Pure nei testi. Venendo da quella che considero la ‘golden age’ del rap, quindi abituata a dire qualcosa nei suoi pezzi (che anche se non dicono niente lo fanno molto bene), mentre l’esplosione della trap e la sua commistione col pop, l’avvento di TikTok, hanno trasformato in molti casi il rap odierno in una versione 2.0 di quella per suonerie di cellulari. Ecco perché in ‘Fame’, col produttore Night Skinny, sono voluto tornare al rap di un tempo. Alle cose che da ragazzo mi emozionavano. Quelle di Nas o Jay-Z, ad esempio. Diciamo il rap che mi ha segnato la vita fino al 2010. Anche se, ovviamente, con un suono moderno”.

Parliamo della reunion dei Club Dogo.

“Siamo tre vecchi, ma è andato tutto bene. In studio e sul palco. Vedremo tra due o tre anni se rifarlo. Frattanto abbiamo sistemato i nostri rapporti e questo è l’importante”.

Il mestiere del rap ha una scadenza?

“Secondo me sì, bisogna smettere massimo attorno ai 50 anni, l’età anagrafica nell’urban è importante e alla fine rischi di diventare una macchietta. Già cinque anni fa ho carezzato l’idea di mollare tutto e trasferirmi a Santo Domingo. Anzi, durante una vacanza con mia moglie avevo pure adocchiato una proprietà. Poi la reunion dei Club Dogo e l’impegno televisivo a X-Factor hanno rimischiato le carte. Ma non è detto che, dopo la tv (non ha ancora firmato, ma il rinnovo con Sky è vicino, ndr) non lo faccia. Dopo essermi tolto dai social, naturalmente”.